La libertà secondo Parri
di Chiara Colombini
Questo articolo è stato pubblicato su “Robinson” – supplemento de “La Repubblica” il 12 novembre 2022*
«Fatti coraggio. Quando tutto finisce per crollare intorno a te, puoi almeno godere della serena e spudorata allegria del naufrago. Si ricomincia da capo». Sono parole che Ferruccio Parri, ormai anziano, scrive ad Alessandro Galante Garrone a metà degli anni Sessanta.
Se per questa Lezione Laterza mi avessero chiesto di riflettere sulla parola “tenacia” – anziché “libertà” – associandola a un personaggio, avrei ugualmente proposto Ferruccio Parri. La tenacia ha goduto di recente di una certa notorietà, quando durante l’insediamento della seconda carica dello Stato è stata richiamata – in modo infelice – una lettera di Sandro Pertini alla madre del 1933 che esprimeva un concetto non lontano da quello presente nelle parole di Parri. Dico in modo infelice perché guardare asetticamente alla tenacia, come se fosse un metodo, una forma buona per ogni contenuto, penso che sia fuorviante. L’obiettivo al quale la tenacia tende, al contrario, non è un dettaglio.
Per Parri l’obiettivo è stata la libertà. Per lui, la libertà non è stata un concetto astratto, ma una questione tremendamente concreta, fatta di dignità e di giustizia, e una molla di ribellione: si è schierato contro il fascismo perché non fosse cancellata, ha conosciuto il prezzo della sua privazione – in carcere, al confino, nel silenzio umiliante imposto dal regime – così come ha conosciuto il prezzo da pagare per poterla riconquistare, per sé e per gli altri. E l’obiettivo di mantenerla e ampliarla l’ha accompagnato per il resto della vita.
Quella di Parri è una figura poliedrica e ricca: è stato un ufficiale pluridecorato, un sovversivo, un partigiano, un uomo politico di primo piano, un uomo delle istituzioni, un organizzatore di cultura, un costruttore di archivi per studiare la storia e nella sua lunga esistenza – nasce nel 1890 e muore nel 1981 – ha vissuto da protagonista le vicende e le svolte salienti della storia italiana del secolo passato. Non è un caso che si intitoli Ferruccio Parri e le Italie del Novecento un volume collettaneo del 2021, a lui dedicato, curato da Nicola Labanca per l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, che dal 2017 porta il suo nome.
Mazzinianesimo, antigiolittismo, interventismo democratico, Giustizia e Libertà, Partito d’azione, Partito repubblicano, Unità popolare, Partito socialista, Sinistra indipendente: unire i punti di questo elenco delle esperienze politiche che Parri ha attraversato, dalla formazione durante la giovinezza fino agli anni Sessanta-Settanta della sua vecchiaia, è sufficiente per delineare la traiettoria della trasformazione del suo pensiero, lungo la quale si impone progressivamente come filo conduttore la ricerca di una democrazia capace di estendersi e di includere. In questo percorso così lungo e articolato, c’è una fase – tra la metà degli anni Venti e quella degli anni Quaranta – che è al contempo un nucleo forte, destinato a segnare in modo indelebile la vita e l’azione di Parri, e la memoria che di lui è rimasta: l’impegno contro la dittatura e le sue prevaricazioni.
Parri è l’uomo che alla fine del 1926, in barba al regime che ha eliminato ogni spazio di opposizione con le “leggi fascistissime”, insieme a Carlo Rosselli organizza e realizza l’espatrio clandestino di Filippo Turati e Sandro Pertini, e che poi fa del processo cui è sottoposto una tribuna per denunciare Mussolini. Parri è il leggendario “Maurizio”, il comandante partigiano che con pazienza tesse i mille collegamenti che rendono possibile la Resistenza nell’Italia occupata e che, con Luigi Longo e poi Raffaele Cadorna, ne guida l’organizzazione militare, costruendo una difficile unità tra forze diverse. Parri è il primo presidente del Consiglio dell’Italia liberata e, nel novembre del 1945, la fine precoce del suo governo, paralizzato dagli enormi problemi di un paese in macerie e da ricostruire, diventa il simbolo del declino delle speranze di rinnovamento più radicali della Resistenza. Ma Parri è anche un uomo che, sconfitto, non lascia il campo e continua negli anni la ricerca faticosa di una via da seguire, sul piano politico e su quello culturale, per dare concretezza alla democrazia a lungo sognata, conquistata ma ancora in parte da costruire.
Sono vicende note: ripercorrerle ancora, cercando di mettere a fuoco i crocevia davanti ai quali Parri si è trovato e le strade che ha scelto di imboccare, può essere utile per provare a rispondere a questioni che ci interpellano anche oggi. In fondo, la vicenda di Parri in questo paese somiglia proprio a quella dell’antifascismo e della Resistenza: pur decisivo nei momenti più bui, raramente è stato sulla breccia; quando ha vinto, lo ha fatto senza stravincere; ha lasciato di sé una memoria fragile e sempre contestata. Per quanto fragile, però, il suo lascito è inestirpabile.
*Ringraziamo Chiara Colombini – storica che lavora a Istoreto -per averci concesso di pubblicare questo articolo