Quell’eredità neofascista che non si può cancellare

L’articolo è stato pubblicato su “La Stampa” il 29 dicembre 2022*
Ignazio Benito La Russa è diventato presidente del Senato nel segno della “nostalgia” per il MSI. Con la sua nomina, la destra di governo ha inteso riconfermare le proprie radici dando anche una qualche gratificazione a quella parte del suo elettorato che si è sempre riconosciuta nella tradizione e nella storia del partito neofascista. La Russa si è mosso in modo coerente con queste premesse, fino alla sua ultima esternazione nel ricordo di suo padre, Antonino La Russa, che fu eletto senatore proprio nelle liste del MSI. Le note biografiche del Presidente del Senato lo danno militante nel Fronte della gioventù , l’organizzazione giovanile del partito neofascista, già nel 1971. Ed è stato quindi nel MSI di Almirante e degli anni ’70 del Novecento che si è formato politicamente , distinguendosi come uno dei suoi militanti più attivi.
Dall’estate del 1969, infatti, il partito era guidato da Giorgio Almirante, subentrato al defunto Arturo Michelini. In precedenza, il nuovo segretario era stato l’interlocutore privilegiato dei gruppi eversivi della destra extraparlamentare, opponendosi vivacemente alla politica in “doppio petto” di Michelini, giudicata troppo arrendevole nei confronti del potere democristiano.
Assumendo la direzione del partito Almirante sostituì il “doppio petto” con il “doppio binario”. Il suo intento fu quello di assorbire le frange dell’estremismo per non avere, come era capitato a Michelini, contestazioni dall’esterno e, contemporaneamente, “modernizzare” il MSI, trasformandolo in un partito radicato nelle piazze, in grado di condizionare e ricattare la DC non solo con le percentuali elettorali ma anche una presenza diffusa e “militante” nel paese. Pochi mesi dopo, con il rientro dei fuoriusciti di “Ordine Nuovo”, il gruppo più radicalmente eversivo della galassia nera, il MSI interiorizzava, per così dire, la violenza squadrista dando vita a una propria struttura militare, “I volontari nazionali”, lanciata nella campagna elettorale del giugno 1970 come protagonista dello scontro fisico con “i comunisti”, annunciato da Almirante nel suo discorso programmatico con lo slogan “avanti nelle urne e nelle piazze”. Fu allora che, per recuperare definitivamente la dissidenza estremista, il nuovo segretario citò esplicitamente la Repubblica sociale italiana (“…evochiamolo lo spirito e il tempo della lotta di Salò!”) in un discorso che per il resto si affidava a un linguaggio nuovo, affollato di termini come “alternativa globale”, “restaurazione della civiltà europea”, “contestazione della contestazione”, mutuati dal clima politico post 68 e che avrebbero dovuto sedurre i giovani militanti come La Russa. Spingendosi molto più avanti, nel successivo VIII Congresso del partito (novembre 1970), Almirante poi finì per indicare nel MSI “ l’alternativa rivoluzionaria al sistema parlamentare distrutto”.
La linea del “doppio binario” pagò in termini elettorali. Alle amministrative del 13 giugno 1971 il MSI ottenne il 13,9% dei voti a livello nazionale, con punte eccezionali a Catania, il 27%, a Palermo, il 19,5%, a Roma, dove passò dal 9,3% al 15,2&. Nel dicembre del 1971 i voti missini furono determinanti per l’elezione di Giovanni Leone alla Presidenza della Repubblica. E alle elezioni politiche del 7 maggio 1972, il partito raccolse 2.894.789 voti, con una percentuale dell’8,7%.
E’ evidente la concomitanza tra questi exploit e l’avvio della strategia della tensione, a partire dalla strage del 12 dicembre 1969. Fu quella l’ora più buia della Repubblica. Le stragi rischiarono di minare le fondamenta della nostra democrazia e spinsero molti giovani dell’estrema sinistra verso l’orrore disperato del terrorismo. L’impressione, allora come oggi, è che lo spazio politico dei neofascisti in realtà si restringesse o si dilatasse a prescindere dalla loro linea politica, attraverso decisioni esterne al partito stesso, assunte da centri di potere molto più solidi come gli apparati dello Stato o il blocco che governava l’economia italiana. Un attento osservatore come Giorgio Galli indicava come causa dei successi del MSI il naufragio del centro-sinistra (“il fallimento di una iniziativa politica riformista”) e, soprattutto, l’attività del “governo invisibile”, l’intervento diretto delle forze armate e dei servizi segreti (“..la crescente influenza , diretta e indiretta, dei militari politicizzati e dei servizi segreti e speciali nella situazione politica italiana”).
Per intenderci, “i valori” del neofascismo che ispirarono la militanza giovanile di La Russa si fondavano su tre pilastri: il legalitarismo in “doppio petto”, il terrorismo degli squadristi, la subalternità di entrambi a quei settori dello Stato italiano più favorevoli ai tentativi di svolta reazionaria promossi dai servizi segreti, anche stranieri. Una stretta complementarietà legava i tre elementi e, come si vede, non c’è traccia in essi di quelle ““idee rispettose della Costituzione italiana” evocate dal Presidente del Senato nell’elogio funebre di suo padre. Ed è l’atmosfera mefitica legata a quella storia che incombe oggi sulle nostre istituzioni repubblicane.
*Lo storico Giovanni De Luna scrive per il quotidiano “La Stampa”. Lo ringraziamo per averci concesso di ripubblicare questo articolo.