Fiat Aeronautica - Corso Italia, 366 (oggi Corso Francia)

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Nell’agosto del 1925 il governo italiano decreta l’istituzione del Ministero dell’Aeronautica, atto che rende chiaro agli occhi della Fiat l’interesse statale per lo sviluppo di una produzione aeronautica sia nel campo militare, sia in quello civile.

Nello stesso periodo, precisamente nel 1926, la Fiat che, come ricorda Castronovo, possiede finanze così robuste da poter "rilevare l’intero pacchetto azionario dell’Ansaldo" [V. Castronovo, 1999] riesce ad assorbire alcune imprese di proprietà dei Perrone, tra le quali figura anche lo stabilimento aeronautico Ansaldo: nasce così la Società Aeronautica d’Italia.

La fabbrica sorge a Torino, in Corso Italia, quasi al confine con il Comune di Collegno, lungo la principale arteria stradale di collegamento con la Francia (l’odierno Corso Francia), si estende su una superficie di circa 31000 metri quadrati ed è dotata di un "vastissimo campo volo con palazzina per piloti, stazione radio e pilone per segnalazioni notturne" [Fiat, Le Ali della Fiat].

All’interno dell’azienda le lavorazioni si dividono in due grandi sezioni, quella aeronautica, responsabile della costruzione dei velivoli da guerra "della quasi totalità delle squadriglie della superba arma del cielo italiana" [PNF, 1932], e quella motori aviazione che produce unicamente motori d’aviazione (una nota contenuta in un opuscolo celebrativo dell’azienda sottolinea, in proposito, come da queste officine siano "usciti i motori che hanno dato le più gloriose vittorie all’aviazione italiana" [Fiat, Le Ali della Fiat]), lavorando materiale greggio e semilavorato proveniente principalmente da altre aziende Fiat.

A partire dal marzo del 1942, nell’ambito del potenziamento della macchina bellica italiana, la Fiat Aeronautica lavora a pieno ritmo aumentando notevolmente i propri indici produttivi sia nel campo della fabbricazione dei motori d’aviazione che in quella dei velivoli. L’analisi delle cifre relative al numero di lavorazioni effettuate nel corso di questo anno fa infatti registrare un netto incremento della produzione sia nella prima sezione, dove ai 75 pezzi realizzati nel 1939 si contrappongono i 230 del 1942, che nella seconda, dove si assiste all’intensificarsi della fabbricazione dei caccia G55, moderni aerei in grado di combattere alla pari con i quotati Spitfire e Mustang dell’aviazione anglo-americana.

A queste cifre va anche aggiunto un netto incremento dei dipendenti che salgono vertiginosamente passando dalle 952 unità del 1932, alle 4.500 del 1943 fino alle 4.068 del 1945: una manodopera costituita in gran parte da operai altamente qualificati (calderai e battilastra) e da una minima percentuale di lavoratori "senza particolare addestramento" [G.Alasia, G. Carcano, M. Giovana, 1983] assunti soprattutto per ovviare alle esigenze derivanti dall’aumento della produzione durante il periodo bellico.

Inoltre la Fiat Aeronautica dispone anche di una scuola allievi, collocata nell’officina numero due dello stabilimento e frequentata da circa 300 giovani, che ha il compito di formare le nuove maestranze specializzate da inserire nell’organico dell’azienda.

I lavoratori sono costretti a sottostare a ritmi di lavoro durissimi (dalle 6 del mattino alle 21 di sera) e ad una rigida disciplina di fabbrica, ben delineata dalle parole di un operaio addetto al montaggio motori che ricorda come "eravamo tutti militarizzati, con tanto di gradi, dovevamo portare un distintivo speciale sulla tuta, e il reparto pullulava di spie dell’Ovra" [G.Alasia, G. Carcano, M. Giovana, 1983].

Una severità che regna anche all’interno della scuola allievi, dove uno dei maggiori motivi di malcontento tra i giovani è "provocato dall’obbligo di partecipare al sabato pomeriggio alle adunate fasciste" [G.Alasia, G. Carcano, M. Giovana, 1983], pena una multa di due Lire (che grava non poco sugli stipendi degli allievi che guadagnano appena 5 Lire al giorno) e soprattutto la registrazione della mancata presenza sul cartellino personale, del quale la direzione tiene conto nel giudizio al momento del passaggio da allievo ad operaio.

Le condizioni lavorative all’interno della fabbrica, sono rese ancora più difficili dai bombardamenti che iniziano a colpire la Fiat Aeronautica fin dal 1942.

Le bombe cadute sul complesso l’8 e il 9 di dicembre provocano danni ai macchinari, alle merci, alle officine (Officina attrezzatura, manutenzione meccanica 1, meccanica 3, lavorazione caccia, lavorazione metalli leggeri, allievi, ali ed eliche) e agli arredamenti, specialmente, particolare curioso, alle tende per l’oscuramento. Infatti una corrispondenza datata 28 aprile 1943 e inviata dalla direzione alla ditta Giuseppe Icardi di Via Reggio 17 informa dei gravi danneggiamenti subiti dalle "tende in tela bleu per oscuramento" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3333, Arredamenti], che la ditta Icardi è incaricata di restaurare.

Dopo il 1942, la fabbrica (considerata per la tipologia della produzione uno degli obiettivi primari da colpire) subisce anche negli anni successivi il fuoco degli ordigni alleati, sganciati ancora due volte, la notte tra il 4 e 5 febbraio del 1943 e la mattina del 25 aprile 1944.

La strettissima sorveglianza vigente tra i reparti non impedisce però ai lavoratori dell’Aeronautica di organizzare l’opposizione al regime.

Un dissenso che si manifesta in maniera costante attraverso molteplici iniziative, prima tra tutte, la distribuzione tra i reparti di materiale propagandistico come volantini e giornali clandestini (l’Unità, il Grido di Spartaco), diffusi con tecniche ampiamente collaudate come ricorda Fiorindo Deri, un operaio antifascista di origine toscana: "entravamo al mattino prima dell’ingresso degli operai i quali, una volta entrati negli spogliatoi trovavano il materiale già sparso; lo stesso metodo era utilizzato per la diffusione in officina lasciando volantini e giornali sui macchinari o nei cassetti dei banchi di lavoro" [G.Alasia, G. Carcano, M. Giovana, 1983].

Il contrasto con il regime si manifesta chiaramente nel 1943 quando, l’8 di marzo, nonostante le minacce "di avere la divisa addosso entro otto ore" [G.Alasia, G. Carcano, M. Giovana, 1983] e di essere inviati al fronte, perpetrate dalla direzione, gli operai bloccano il lavoro.

La protesta ha inizio dall’officina meccanica che concentra i lavoratori più giovani (più sensibili degli altri alle questioni del pane, delle 192 ore e della disciplina in fabbrica) e si diffonde in tutti gli altri reparti: la parola d’ordine è quella di fermare la produzione al suono della sirena delle 10 antimeridiane. La direzione però, avendo intuito le intenzioni dei lavoratori, non aziona il segnale ma, ciononostante, "alle dieci tutti alzarono gli occhi all’orologio e si fermarono" [G.Alasia, G. Carcano, M. Giovana, 1983].

Subito dopo intervengono i dirigenti dello stabilimento insieme al direttore, ingegner Larghi, e ad alcuni esponenti dei sindacati fascisti intimando, senza successo, la ripresa del lavoro, che resta sospeso fino al giorno 11 marzo.

Successivamente si abbatte però sugli scioperanti la mano della repressione fascista che arresta una quarantina di operai ritenuti colpevoli di aver organizzato l’agitazione.

Con essi sono solidali i compagni di lavoro che con collette e sottoscrizioni raccolgono per le loro famiglie la non trascurabile somma di Lire 500.

Durante l’occupazione tedesca lo sciopero non costituisce però l’unica forma di lotta: infatti ad esso si aggiungono il sabotaggio della produzione e la costruzione di armi da donare alle varie formazioni partigiane, la cui progettazione avviene, in assoluta clandestinità, "nella parte più bassa del rifugio antiaereo" [G.Alasia, G. Carcano, M. Giovana, 1983] interno alla fabbrica.

Il 12 marzo del 1945 nasce il Comitato di Liberazione Nazionale di fabbrica che va a supportare le attività dei sappisti e degli antifascisti attivi all’interno dell’azienda che, il 26 aprile dello stesso anno, secondo un rapporto della V brigata Sap, è teatro di violenti scontri a fuoco tra i tedeschi e i partigiani: "verso le ore 14,00 del 26 aprile numerose e ben armate pattuglie naziste provenienti da Collegno attaccarono in diversi punti dello stabilimento. La situazione si faceva critica, il combattimento infuriava e le munizioni dovevano essere regolate con scrupolosa parsimonia" [G. Padovani, 1979].

E’ questo l’ultimo episodio della guerra che interessa la Fiat Aeronautica. Pochi giorni dopo i lavoratori possono festeggiare la liberazione di Torino.


Fonti citate

Archivio:

Archivio storico Fiat fasc. ricostruzione, note sul commercio estero;

Archivio storico Fiat, Danni di guerra, fascicolo 9;

Archivio di Stato di Torino, Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3333, Arredamenti;

Archivio di Stato di Torino, Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3348A;

Archivio Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, Verbali Cln aziendali E/73/C;

Bibliografia essenziale:

Anno Decimo, Glorie e lavoro del Piemonte a cura del PNF di Torino, anno 1932;

Fiat, Le ali della Fiat, opuscolo celebrativo (senza data di pubblicazione) di tutti gli stabilimenti Fiat conservato presso l’Archivio storico Fiat;

Fiat: le fasi della crescita. Tempi e cifre dello sviluppo aziendale, a cura dell’Archivio Storico Fiat, Scriptorium, Torino, 1996;

V. Castronovo, Fiat 1899-1999: un secolo di storia italiana, Rizzoli, Milano, 1999, [p. 366; 595];

S. Musso, Gli operai di Torino. 1900-1920, Feltrinelli, Milano, 1980;

G.Alasia, G.Carcano, M. Giovana, Un giorno del ’43. La classe operaia sciopera, Gruppo Editoriale Piemonte, Torino, 1983; [p.112;114; 129; 131; 132; 135];

G. Padovani, La liberazione di Torino, Sperling &Kupper Editori, Milano, 1979; [p.166 ].

 
       
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