Fiat Grandi Motori - Via Cuneo, 20

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Nel quartiere torinese di Barriera di Milano, nell’isolato compreso tra Via Cuneo e Via Pinerolo, di fianco ai corsi Vigevano e Vercelli (la principale arteria che in uscita da Torino porta a Milano), e non lontano dalla cinta daziaria, sorge sin dal 1884 l’Officina Meccanica Michele Ansaldi, azienda costruttrice di macchine utensili che impiega circa 300 operai altamente qualificati (in particolar modo aggiustatori meccanici e lavoratori specializzati).

Nel marzo del 1905, Michele Ansaldi, spinto anche dalla Banca Commerciale Italiana (attorno alla quale ruotano le principali concentrazioni industriali della siderurgia italiana), sigla un’intesa con Agnelli che decreta la nascita della Fiat-Ansaldi, una società destinata alla produzione di "vetture leggere a quattro cilindri con un capitale sociale di Lire 850.000" [Archivio Storico Fiat, 1996].

Il sodalizio ha però vita molto breve: fin dai primi mesi tra le due parti sorgono dissidi e dissapori che portano la Banca Commerciale, in possesso 2000 azioni della Fiat Ansaldi, a decidere di sintonizzare "l’attività delle Officine Ansaldi alle cadenze Fiat" [V. Castronovo, 1999] come unica strada percorribile per il rilancio della società. Così, nel gennaio del 1906 Michele Ansaldi si dimette dalla carica di consigliere delegato dell’omonima società e cede la sua quota alla Fiat che incorpora le Officine Meccaniche Ansaldi.

Questo atto è legato ad una precisa strategia di mercato assunta dall’azienda torinese che mira, attraverso procedimenti associativi, a legare alla propria orbita altre società. Una di queste è il cantiere navale San Giorgio di Muggiano, nel Golfo di La Spezia, che, nel 1905, è assorbito dalla Fiat. Nasce così la Società Fiat San Giorgio, un insieme di officine destinate "a sviluppare la costruzione di torpediniere sommergibili" [Fiat, Lo stabilimento Grandi Motori] che prevede, a Torino, la produzione di motori e tubi di lancio, e nel cantiere ligure quella dello scafo e le operazioni di montaggio.

Nel capoluogo piemontese, l’area ritenuta idonea ad ospitare questo nuovo tipo di lavorazioni è proprio quella delle vecchie officine della Fiat Ansaldi (trasformata nel frattempo nella Società automobili Brevetti Fiat), al numero 20 di Via Cuneo, le cui attrezzature e maestranze sono considerate dai vertici della Fiat adatte a supportare la costruzione dei motori marini.

E’ quindi in questo complesso che "aveva fronte sul lato nord di Via Cuneo e che comprendeva un reparto di lavorazione meccanica, una fonderia e un modesto impianto di fucinatura" [Fiat, Lo stabilimento Grandi Motori] che la Fiat inizia la produzione dei primi motori navali, a benzina e, in via sperimentale, diesel. Allo scopo di testare i motori viene anche costruito all’interno dello stabilimento un locale adibito a sala prove dove lavorano un buon numero di addetti, predominando, nei primi anni di attività, "i problemi della messa a punto su quelli tecnologici di lavorazione" [Fiat, Lo stabilimento Grandi Motori].

Tra il 1911 e il 1913 il crescente sviluppo della produzione (iniziano ad essere fabbricati oltre ai motori per sommergibili anche quelli per le navi mercantili), rende necessario un ampliamento dell’edificio che porta all’edificazione sul lato settentrionale di Via Pinerolo di un ampio fabbricato in cemento armato lungo 160 metri, largo 35 ed alto 18. In questo nuovo edificio trovano spazio una campata centrale che accoglie i reparti per la lavorazione di motori di grandi dimensioni e la relativa sala prove e due campate laterali, a due piani, destinate ad ospitare le sezioni adibite alla piccola lavorazione, al montaggio e ai servizi ausiliari.

Nel 1916 la Fiat San Giorgio è ceduta al gruppo genovese Ansaldo, e muta il nome in Ansaldo San Giorgio. Da questa data, fino al termine del conflitto mondiale, le esigenze dettate dalla guerra richiedono alle officine notevoli sforzi produttivi uniti ad una diversificazione delle lavorazioni: oltre a più di 100 motori diesel di varia potenza per sommergibili, i 4000 operai dell’Ansaldo San Giorgio fabbricano anche tubi di lancio per siluri, mine galleggianti e varie centinaia di motori di aviazione per velivoli militari.

La smobilitazione della produzione di guerra, la riduzione della manodopera e il ritorno alla costruzione di motori non più per usi militari, ma mercantili, caratterizzano gli anni del primo dopoguerra, in cui, alla fabbricazione di dodici motori mercantili per sei navi dei cantieri Ansaldo, si aggiunge anche quella di motori diesel e di propulsori per macchine ad uso industriale.

Nel 1923 lo stabilimento torinese della Ansaldo San Giorgio è riacquistato dalla Fiat: questo passaggio sancisce così la nascita della sezione Grandi Motori, adibita, appunto, "alla costruzione di motori diesel per qualsiasi applicazione ed in particolare per uso marino" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3409].

Tornato di proprietà della Fiat, il complesso di Barriera di Milano, è soggetto ad un grandioso piano di rinnovamento che termina solo nel 1928 e che prevede la copertura totale di alcuni cortili, la soppressione degli impianti di fucinatura, l’ingrandimento di quelli adibiti alla lavorazione dei motori di media grandezza, la costruzione di una nuova fonderia (con la totale sostituzione di macchinari e fabbricati), di un nuovo capannone per il montaggio e la prova dei motori e di un grande fabbricato, destinato ad uso magazzino e deposito materiali lungo il Corso Vercelli, che porta a 37.000 metri quadrati la superficie sulla quale si estende lo stabilimento.

Nello stesso periodo la Fiat procede anche all’acquisto di un edificio compreso tra Via Cigna, Corso Vigevano, Via Gressoney e Via Cervino, distante circa 400 metri dal gruppo delle officine di Via Cuneo e quasi adiacente agli impianti della SIMA, le acciaierie metallurgiche di proprietà della stessa Fiat.

Nel 1935, il notevole incremento della produzione (una minima parte della quale, e cioè il reparto calderai ed il magazzino ricambi, è decentrata in alcuni locali delle officine del Lingotto), che è oramai orientata verso molteplici direzioni, dalla costruzione di motori termici marini, industriali, ferroviari, alla produzione di macchine utensili, di fusioni di ghisa, di gruppi meccanici diversi, fino ad arrivare alle lavorazioni parziali per conto terzi, rende necessario, all’interno degli edifici di Via Cuneo un ulteriore ampliamento che si concretizza con la fabbricazione di una nuova struttura in cemento armato "adatta a grandi macchine e provvista di due ali laterali a due piani adatte ad estendere la piccola lavorazione" [Fiat, Lo stabilimento Grandi Motori].

Alla vigilia della guerra, la Grandi Motori si presenta quindi come una realtà industriale che ha esteso la propria presenza su tutto il territorio della Barriera di Milano, fino a diventarne un tratto distintivo come si nota dalle parole di un anziano abitante del borgo, in cui riaffiora in maniera piuttosto marcata il ricordo della fabbrica: "Barriera di Milano gravitava attorno alla Grandi Motori. Questa fabbrica era il cuore del quartiere perchè faceva pum, pum, pum. Era un rapporto fisico: se noi non si sentiva tremare i vetri era o perché era domenica o perché era in crisi" [Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, 1983].

Parole che possono sembrare quasi ovvie di fronte alle enormi dimensioni raggiunte da questa struttura, che occupa quasi 5.000 dipendenti e che si sviluppa in due nuclei ben definiti su una superficie totale di circa 115.000 metri quadrati.

Il primo, nell’isolato compreso tra i Corsi Vigevano e Vercelli e le Vie Cuneo e Mondovì, costituito da un grande opificio industriale che "comprende varie costruzioni nelle quali sono sistemati gli uffici, il laboratorio chimico, la dogana, il corpo di guardia per i sorveglianti, i magazzini, i reparti di fabbricazione per le materie prime, prodotti finiti e in particolare motori navali e per industrie" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3391]; il secondo, su "un edificio compreso tra Via Cigna, Corso Vigevano, Via Gressoney e Via Cervino che comprende diverse costruzioni di uno o più piani dove sono sistemati alcuni reparti per la fabbricazione di materie prime, prodotti finiti, la sala prova, montaggio macchine utensili, la casetta dei sorveglianti, ed altri locali per uso dell’azienda" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3391].

Inoltre, non lontano da qui, nell’isolato compreso tra Via Cecchi e la linea ferroviaria Torino-Cirié-Lanzo sorge anche un magazzino provvisorio adibito al deposito "della legna da ardere e dei prodotti infiammabili per tenerli lontani dallo stabilimento, essendo ritenuti pericolosi in caso di bombardamento aereo". [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3391].

Un rapporto relativo ai risarcimenti dei danni di guerra redatto dalla direzione della Fiat al termine del conflitto, mette infatti in luce come la Grandi Motori sia il bersaglio di numerose incursioni aeree: le prime hanno luogo il 28 novembre e l’8 dicembre del 1942 danneggiando rispettivamente sia il complesso di Via Cuneo con "danni ai vetri e alle coperture" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3444] di molti reparti, che quello di Via Cigna dove "il magazzino generale ed i capannoni furono gravemente danneggiati da incendi e da crolli" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3444]. A questo si deve poi aggiungere che "binari diversi, interni allo stabilimento, fognature, strade interne e tutti gli impianti fissi, in generale, subirono danni di non lieve entità". [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3444].

E’ però nell’estate dell’anno successivo che si hanno i danni più ingenti.

La notte tra il 12 e il 13 luglio del 1943, cadono sulla fabbrica un totale di 25 bombe e 130 spezzoni incendiari che causano nello stabile compreso tra Corso Vigevano, Corso Vercelli, Via Cuneo e Via Mondovì "la distruzione o il danneggiamento del reparto tornitura, degli uffici, del reparto modellatori, del reparto fonderia, del reparto fotografico e pubblicità, del reparto apprendisti, del reparto montaggio, del magazzino generale e dei locali adiacenti" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3391], per una cifra complessiva che ammonta a Lire 67507344, oltre ad un certo quantitativo di pezzi di ricambio ed accessori per un valore di Lire 1.186.672.

Sempre a questa incursione, secondo le notizie ricavate dalla lettura della denuncia dei danni di guerra del 24 agosto 1944 indirizzata da Vittorio Valletta all’Intendenza di Finanza, risalgono anche i danni subiti dagli edifici posti nel quadrilatero compreso tra il Corso Vercelli e le Vie Cuneo, Mondovì e Pinerolo: oltre al reparto torneria media, completamente distrutto, e ai fabbricati che ospitano i diversi uffici (uffici tecnici, ufficio impianti, ufficio tecnico macchine, ufficio assunzione operai, magazzino generale, sala prove e ufficio disegni e i progetti dei motori in fabbricazione), sono gravemente sinistrati i macchinari e l’attrezzatura che "nella quasi totalità fu ricoperta da detriti e rottami vari, in particolare quella del reparto alesatrici, media lavorazione ed utensileria, oltre ai 21 torni della torneria (sepolti sotto le macerie), le macchine del reparto modellatori (distrutte dagli incendi), quelle dell’officina di precisione e alcune gru" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3391].

L’8 di agosto nella struttura situata tra il Corso Vigevano e le Vie Cigna, Cervino e Gressoney, sono invece colpiti il capannone per il montaggio dei motori (situato in Via Gressoney), e i capannoni della Sezione Fiat Industrie Metallurgiche e Acciaierie, confinanti con quelli della Grandi Motori: lo spostamento d’aria causa "la distruzione, la dispersione o il danneggiamento di "attrezzature, impianti, materie prime, prodotti finiti e in lavorazione e materiali vari esistenti nei locali colpiti e in quelli adiacenti" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3444].

Pochi giorni dopo, il tra il 13 e il 16 di agosto, lo stabilimento è nuovamente centrato dalle bombe che però, questa volta, causano conseguenze ben più serie alle abitazioni civili della Barriera di Milano che la mattina del 17 agosto presenta un lugubre scenario con "centinaia di case in fiamme e centinaia di cadaveri che giacciono sotto le macerie" [R.Luraghi, 1958].

Alle 10 antimeridiane dello stesso giorno i lavoratori della Grandi Motori, esasperati dai continui bombardamenti, entrano in sciopero ed inviano una commissione operaia a colloquio con il generale Adami-Rossi, rivendicando, prima di ogni altra cosa, la pace. Il generale si limita a rispondere che "anche Badoglio vuole la pace, ma che bisogna avere pazienza e che soprattutto non si facciano scioperi" [R.Luraghi, 1958]. Intanto, all’interno dello stabilimento, avviene un gravissimo episodio di sangue: le maestranze iniziano ad uscire dalla fabbrica scontrandosi con i reparti militari che aprono il fuoco causando il ferimento di sette operai e la morte del "garzone di un fornitore che tutti i giorni portava le sue mercanzie allo spaccio della Grandi Motori" [G. Vaccarino, 1952].

La notizia si diffonde in tutte le fabbriche cittadine che proclamano per il 19 di agosto uno sciopero generale (anche se una prima avvisaglia si ha già il 18 quando i dipendenti della Grandi Motori e delle Officine Rasetti si astengono dal lavoro) supportate dai tranvieri e dalle categorie degli impiegati, degli artigiani e dei commercianti. L’agitazione che ha ancora una volta come richiesta di fondo la pace dura fino al 21 dello stesso mese, giorno in cui si riprende il lavoro.

Ai bombardamenti che interessano lo stabilimento e le case circostanti (che secondo le parole di un anziano abitante di Barriera di Milano "hanno quasi raso al suolo tutto il quartiere" [Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, 1983]) è inoltre legato anche il fenomeno dello sfollamento che sembrerebbe coinvolgere, soprattutto nell’ultimo periodo del conflitto, numerosi operai della Grandi Motori come dimostra la lettura dei verbali del Cln aziendale, in particolare quelli relativi ad una relazione settimanale dello stesso Cln di fabbrica al Partito Comunista, datata 9 luglio 1945, che, riferendosi proprio ai numerosi lavoratori sfollati durante la guerra propone come ordine del giorno il ricevimento della "commissione degli operai per trattare la possibilità di un ritorno in città dei tanti operai dello stabilimento sfollati, con camion Fiat o con mezzi propri". [CLN aziendali, E/77/B].

Il nome della Grandi Motori è però anche fortemente connesso al movimento resistenziale che ha proprio qui uno dei fulcri più combattivi, potendo anche contare sull’appoggio quasi totale degli abitanti del rione, un quartiere che "durante il fascismo non è mai stato succube, proprio perché era operaio: c’era il modo di trovarti con gli antifascisti e di discutere per la strada. In Barriera ci conoscevamo in molti e non c’era il pericolo di delazione" [E. Miletto, 2001].

All’interno dell’azienda agiscono fin dal marzo del 1944 (quando anche la Grandi Motori aderisce allo sciopero generale) le S.A.P. di stabilimento, "squadre interne alla fabbrica addestrate ed armate (anche se con scarso munizionamento)"[Comune di Torino, 1975] che collaborano con gli antifascsti e il clandestino Cln aziendale: un totale di 20 squadre che impiegano circa 200 uomini supportati nelle loro attività da un buon numero di operai, come ricorda un lavoratore membro del Cln aziendale: "il comitato clandestino faceva le riunioni dentro i motori: infatti, essendo enormi ci si poteva riunire dentro il basamento. Quando eravamo in riunione quello che avvitava i dadi batteva in un determinato modo, allora capivamo che arrivava qualcuno" [Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, 1983].

Alla Grandi Motori lavora anche Antonio Banfo, una delle figure di maggior rilievo dell’antifascismo torinese: militante comunista, profondamente religioso, inquadrato nella 23°Brigata "era l’animatore del movimento ed era responsabile dei rapporti con il CLN regionale" [E. Banfo, A. Ristori, 1998]. Al suo nome è legata gran parte della storia del movimento antifascista dello stabilimento, che vive, nell’aprile del 1945, una delle pagine più amare.

Una circolare della Questura di Torino, datata 17 aprile1945, inviata ai responsabili di tutti gli opifici cittadini, contiene un ordine del capo della Provincia Zerbino, in cui si invitano i dirigenti, in caso di eventuali sospensioni del lavoro, "ad intimare agli operai di riprendere immediatamente il lavoro stesso. Trascorso il 10° minuto dall’interruzione e qualora le maestranze non avessero obbedito all’intimazione fatta, ordineranno di sparare qualche raffica intelligente. Nel caso che anche dopo la raffica persistessero nell’interruzione, ordineranno di far fuoco contro di essi" [E. Banfo, A. Ristori, 1998].

Il giorno successivo nelle fabbriche torinesi esplode lo sciopero generale e gli operai escono dagli stabilimenti; anche alla Grandi Motori, come ricorda Nicola Delicio, vice commissario politico della IV° Divisione Sap, la parola d’ordine è la stessa in ogni reparto: "al suono della sirena tutti fuori" [G.Padovani, 1979]. La situazione però si presenta subito assai diversa. Infatti, non appena il suono della sirena, un segnale ormai classico e collaudato, sovrasta il rumore dei macchinari, nel cortile dello stabile di Via Cuneo entrano le milizie fasciste che, guidate dal colonnello Cabras (comandante della caserma di Via Asti) costringono gli operai a rimanere chiusi dentro l’edificio.

Cabras, insieme ad altri funzionari del regime, ha un primo colloquio con gli operai, intimandoli a riprendere il lavoro entro un’ora. La risposta operaia è però ferma e decisa: al ritorno delle milizie fasciste la Grandi Motori è totalmente bloccata e nonostante le minacce nessuno riprende il lavoro. E’ a questo punto che Banfo si fa portavoce delle richieste delle maestranze sostenendo le motivazioni politiche ed economiche dello sciopero: "il popolo è stanco, ha fame, non ha più voglia dei bombardamenti e dei morti, vuole la pace. Non vogliamo più vedere queste cose" [Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, 1983]. La risposta di Cabras è lapidaria e suona come una condanna: "da oggi lei, Banfo, non vedrà più morti, stia tranquillo glielo garantisco io" [E. Banfo, A. Ristori, 1998]. Lo sciopero poi continua ma gli operai non riescono ad uscire dalla fabbrica visto che i carri armati fascisti presidiano l’ingresso di Via Cuneo per tutto il pomeriggio.

Alle 17,30, alla fine del turno di lavoro, i lavoratori escono dalla Grandi Motori e sono molti quelli che consigliano a Banfo "di andare a dormire fuori casa" [G.Padovani, 1979], ma lui rifiuta. La sera stessa i fascisti lo prelevano dal suo alloggio di Via Scarlatti insieme al genero, Salvatore Melis, e il 19 aprile i due cadaveri sono ritrovati "per terra in Corso Vigevano, dove c’era una bealera" [Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, 1983].

La notizia si diffonde subito tra i dipendenti della Grandi Motori che decidono di prolungare l’agitazione per l’intera giornata dei giorni 19 e 20 aprile, seguiti da molte altre fabbriche torinesi e dagli abitanti del quartiere ("al suo funerale c’era tutta la Barriera di Milano" [E. Miletto, 2001]), nonostante il tentativo fascista di additare come responsabili della morte di Banfo gli stessi partigiani, come dimostra un articolo pubblicato sul quotidiano La Stampa secondo il quale "Banfo e Melis, due operai della Grandi Motori sono stati uccisi da estremisti comunisti" [E. Banfo, A. Ristori, 1998].

Intanto l’insurrezione generale è vicina e, all’interno dell’azienda, operai e sappisti organizzano la difesa dello stabilimento per impedire che questo possa cadere in mani tedesche prima dell’arrivo dei partigiani.

I lavoratori occupano la fabbrica fin dalla sera del 25 aprile e, dopo aver sbarrato tutte le porte di ingresso, iniziano a prepararsi per fronteggiare l’attacco nemico ("dalla fonderia abbiamo portato dei lingotti molto pesanti e li abbiamo ammucchiati contro il cancello; diversi lingotti sono poi anche andati a finire sui tetti dello stabilimento, sull’orlo dei tetti, con l’intenzione di buttarli giù in caso di necessità" [Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, 1983]) aiutati anche dagli abitanti della Barriera di Milano, molti dei quali entrano nelle officine "anche se non erano lavoratori della Grandi Motori" [Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, 1983].

Il 26 aprile operai e civili fronteggiano i violenti attacchi dei carri armati tedeschi e il giorno successivo i primi reparti della XVII Brigata Garibaldi entrano alla Grandi Motori dove procedendo all’arresto dell’avvocato Dal Fiume, legale della Fiat, entrato, come ricorda Delicio, "nel cortile a bordo di un’automobile di grossa cilindrata insieme al marchese Imperiale con al collo il fazzoletto rosso dei garibaldini" [G.Padovani, 1979], compiono uno degli ultimi atti prima della fine dei combattimenti, che il 28 aprile cessano definitivamente.

Al termine del conflitto si avviano le operazioni di ricostruzione che, nonostante i danni riportati durante le azioni di guerra, si presentano tutt’altro che difficili. La stessa cosa non può essere detta per quello che riguarda la produzione, che dal massimo raggiunto nel primo periodo bellico, cala rapidamente prima di iniziare, a partire dal 1948, una timida ripresa. Nel 1950, per rendere la fabbrica in grado di competere con la concorrenza estera, la Fiat decide di intraprendere un "ulteriore progetto di ampliamento e di aggiornamento dei locali e dei mezzi di produzione" [Fiat, Lo stabilimento Grandi Motori]. Questa decisione è senza dubbio facilitata dalla disponibilità dello spazio e dei fabbricati Fiat che sorgono sul lato sud di Via Cuneo, dove sono sistemate le fonderie di ghisa e di alluminio della produzione automobilistica, che, nel 1950, sono trasferite nel complesso di Mirafiori.

Il programma di rinnovamento è realizzato tra il 1951 e il 1954 e sostanzialmente prevede la costruzione di una nuova fonderia, una sistemazione più razionale degli impianti utilizzati per i trattamenti termici e per la colatura dei cuscinetti, la fabbricazione di un nuovo capannone nella struttura di Via Cigna dove trasferire la lavorazione di tornitura dei pezzi pesanti ed un generale rinnovamento del macchinario e dei servizi generali.

Grazie a questi interventi l’azienda acquista una nuova capacità produttiva, "sia dal lato qualitativo che da quello quantitativo" [Fiat, Lo stabilimento Grandi Motori] e riesce a far fronte, tra il 1957 e il 1960, ad un incremento delle commesse nel campo dei grandi motori e in quello dei motori leggeri e veloci, iniziando anche nuovi tipi di lavorazione, come quella delle turbine a gas.

Nei primi anni sessanta, la Grandi Motori sembra aver riacquistato lo splendore di un tempo: si estende su una superficie di 182.000 metri quadrati (dei quali 85.000 coperti), possiede un parco macchinario che comprende circa 1.050 macchine utensili e impiega circa 4.000 dipendenti che si occupano della produzione di motori Diesel, turbine, macchine utensili, ricambi e lavorazioni per conto terzi.

Nell’ottobre del 1966, nell’ambito del ridimensionamento della cantieristica previsto dal piano Cipe [L. Lanzardo, 2000], Vittorio Valletta, presidente della Fiat, sigla con Giuseppe Petrilli, presidente dell’Iri, un accordo per la creazione della "società Grandi Motori di Trieste" [Archivio Storico Fiat, 1996], fabbrica destinata a raccogliere l’eredità della torinese Grandi Motori di Torino, della triestina Fabbrica Macchine di Sant’Andrea (Fmsa) e, in parte, della genovese Ansaldo. L’idea su cui si fonda il progetto è quella di "risarcire Trieste per la chiusura del cantiere San Marco, con un’azienda che sostenga l’occupazione e sviluppi l’indotto" [L. Lanzardo, 2000].

Quindi nel 1968 è avviata la costruzione di un moderno stabilimento che entra in funzione nell’autunno del 1971 e dove lavorano circa 3000 dipendenti: il personale dirigente e tecnico della vecchia Grandi Motori di Torino e quello, in prevalenza operaio ed impiegatizio, della ex Fabbrica Macchine di Sant’Andrea di Trieste.


Fonti citate

Archivio:

Archivio di Stato di Torino, Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3391;

Archivio di Stato di Torino, Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3409;

Archivio di Stato di Torino, Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3444;

Archivio storico Fiat, fascicolo ricostruzione, note sul commercio estero;

Archivio storico Fiat, Fascicolo Danni di guerra, fascicolo 9;

Archivio Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, Verbali dei CLN aziendali, E/77/B;

Bibliografia essenziale:

Archivio Storico Fiat, Fiat: le fasi della crescita. Tempi e cifre dello sviluppo aziendale, Scriptorium, Torino, 1996; [p.29; 46];

Fiat, Lo stabilimento Grandi Motori, opuscolo informativo a cura dell’azienda (non presenta data di pubblicazione) conservato presso L’Archivio Storico Fiat; [p.5; 9; 13];

Fiat, I Cinquant’anni della Fiat: 1899-1949, Mondadori, Milano, 1950;

Fiat, Le ali della Fiat, opuscolo celebrativo (senza data di pubblicazione) di tutti gli stabilimenti Fiat conservato presso l’Archivio storico Fiat;

V. Castronovo, Fiat 1899-1999: un secolo di storia italiana, Rizzoli, Milano, 1999, [p.20];

Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, La costruzione della memoria a Barriera di Milano (1900-1950): esperienze umane e fatti storici, Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, Torino, 1983; [p. 12; 24;25; 29;33];

XXX Anniversario della Liberazione, Torino contro il fascismo, a cura del Comune di Torino e del Comitato per le iniziative antifasciste della Città di Torino, Torino, 1975 [p.82];

Anno Decimo, Glorie e lavoro del Piemonte a cura del PNF di Torino, anno 1932;

R. Luraghi, Il movimento operaio torinese durante la Resistenza, Einaudi, Torino, 1958 [p.74];

G. Vaccarino, Il movimento operaio a Torino nei primi mesi della crisi italiana (luglio 1943-marzo 1944), in Il movimento di Liberazione in Italia, n°19, luglio 1952, [p.32];

E. Banfo, A. Ristori, Antonio Banfo: vita e morte di una voce torinese, Ananke, Torino, 1998; [p.29; 39; 79; 83];

G. Padovani, La liberazione di Torino, Sperling &Kupper Editori, Milano, 1979; [p.38; 39; 118];

L. Lanzardo, Grandi Motori. Da Torino a Trieste: culture industriali a confronto (1966-1999), Milano, Franco Angeli; 2000; [p.9];

E. Miletto, L’identità storica incontra le diversità del futuro. Memoria e immagini della Barriera di Milano e della Polisportiva River Mosso, Edizioni Neos, Torino, 2001; [p.25; 29].

 
       
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