Fiat Lingotto - Via Nizza, 250

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Nel 1916, in pieno periodo bellico, l’esigenza di racchiudere in un unico comprensorio tutte le produzioni automobilistiche primarie ed accessorie, spinge la Fiat ad elaborare un piano di espansione che prevede la costruzione di un nuovo grande complesso industriale.

L’area destinata ad accogliere la struttura è quella del Lingotto, alla periferia sud di Torino, dove Giovanni Agnelli acquista dai proprietari terrieri della zona (tra i quali c’è anche Alberto Enrico Talmone) una superficie complessiva di circa 378.000 metri quadrati sulla quale impiantare il nuovo stabilimento.

Giovanni Agnelli individua nell’architetto Giacomo Matté Trucco la persona adatta ad eseguire la progettazione di questo imponente complesso che, realizzato tra il 1917 e il 1921, si sviluppa su una superficie di 150000 metri quadrati, nell’area compresa tra la ferrovia e le Vie Narzole, Nizza e Passobuole. Un "gigante" di cemento armato (il primo in Italia) che con le sue misure grandiose (un enorme gruppo di edifici che si estende per una lunghezza di oltre un migliaio di metri) diventa il simbolo delle aspirazioni alla modernità dell’azienda torinese. Il fabbricato principale è a cinque piani ed è costituito da "due corpi longitudinali della lunghezza di metri 508 e della larghezza di metri 24,50" [PNF, 1932], uniti tra loro da 5 corpi trasversali che formano quattro cortili interni. Il tutto sormontato da un tetto molto particolare: una pista in cemento armato destinata al collaudo dei veicoli con pavimentazione in asfalto, costituita da due rettifili di 443 metri ciascuno e da due curve sopraelevate. Un circuito che, ultimato nel 1921, è destinato subito a suscitare stupore e meraviglia: una sorta di terrazza protesa verso le Alpi, considerata un vero e proprio "monumento della civiltà in movimento" [M. Pozzetto, 1975].

Nel 1921 iniziano ad entrare in funzione le fonderie, le fucine, il reparto preparazione telai e quello forni automatici e, nel 1922, la Fiat avvia il trasloco dei macchinari dalle officine di Corso Dante che si conclude alla fine dell’anno, con la sistemazione dei reparti della carrozzeria, del montaggio finale e delle officine meccaniche.

Nel 1923 il nuovo stabilimento è così pronto ad entrare nel pieno dell’attività produttiva e, il 22 di maggio, è inaugurato alla presenza del Re Vittorio Emanuele III: da questo momento in poi "l’automobile Fiat si fa al Lingotto, un nome questo che oramai in tutto il mondo vuol dire Fiat" [PNF, 1932]. E’ con queste parole che una pubblicazione fascista celebrativa delle glorie e del lavoro del Piemonte nel decimo anno del regime, descrive la grandezza del Lingotto, una struttura che comprende oltre alla Palazzina degli Uffici, svariati fabbricati destinati ad ospitare le diverse lavorazioni: le officine per la costruzione di automobili, le tettoie per fucinatura, stampaggi, trattamenti termici e lavorazioni diverse (meccaniche trafilerie, segherie, lavorazione legnami), magazzini, carrozzerie, reparti di fonderia e un grande scalo ferroviario per il trasporto dei materiali e la spedizione delle vetture.

Di ispirazione chiaramente americana (è la prima fabbrica europea ad essere concepita e costruita sulla base dei metodi di produzione statunitensi, tanto da essere presentata come "un nuovo grande stabilimento ad uso americano" [V. Castronovo, 1978]) il Lingotto si presenta subito come una struttura innovativa capace di rompere con la tradizione, non solo nelle linee estetiche (nel 1925 il celebre architetto Le Corbusier lo definisce "un documento per l'urbanistica" [M. Pozzetto, 1975]) ma soprattutto nell’organizzazione del lavoro dando una spinta decisiva verso la produzione in grande serie, attraverso l’incorporazione "in un solo corpo organico a ciclo integrale" [G. Levi, 1985] di tutte le lavorazioni necessarie alla produzione automobilistica fino ad allora decentrate dalla Fiat tra le officine di Corso Dante e quelle dell’indotto.

Il Lingotto, facendo proprie quelle tecniche di lavorazione già da tempo applicate a Detroit che prevedono l’applicazione di un ciclo produttivo da svolgersi in continuità e progressione, segna così per la Fiat il passaggio al mondo della grande industria automobilistica, rendendola in grado di fare fronte alle nuove sfide del mercato internazionale. Questo tipo di organizzazione della produzione, comporta un mutamento nei metodi di lavoro delle maestranze che, grazie alla movimentazione dei materiali possono ricevere direttamente e in modo sistematico le parti da lavorare, e non viceversa, cosa che permette, come osserva Valerio Castronovo, di "realizzare un avanzamento pianificato e costante del prodotto attraverso i vari reparti" [V. Castronovo, 1999].

Un procedimento perfettamente esemplificato in un articolo comparso su La Stampa il 23 magio del 1923, subito dopo l’inaugurazione del moderno stabilimento all’interno del quale l’operaio è descritto come "una cellula assegnata a un dato posto che non ha bisogno di muoversi; il pezzo di sua lavorazione giunge a lui lungo un piccolo binario ricco di rulli, viene lavorato e poi riparte e va da un altro operaio a farsi raffinare o aggrazziare" [in M.Pozzetto, 1975].

Si tratta, e anche qui sta l’innovazione, di un’organizzazione che non necessita più del sistema del cottimo per aumentare la produttività del singolo operaio, ma che funziona come un procedimento automatico del quale il lavoratore è parte integrante, e dove, (come afferma il responsabile dei tecnici della Fiat, l’ingegner Maraini, in una corrispondenza recapitata ad Agnelli da Detroit nel 1919) non c’è spazio "per l’operaio inetto, svogliato e lento che viene automaticamente sbalzato fuori dal meccanismo, viene selezionato" [in V. Castronovo, 1999].

Un nuovo modo di produrre che comporta un immediato cambiamento delle condizioni lavorative all’interno della fabbrica sancendo l’ingresso nella scala produttiva di una nuova figura professionale, quella dell’addetto macchine, al quale non si richiede una particolare specializzazione ma semplicemente la capacità di "controllare i congegni delle macchine" [V. Castronovo, 1999], che sostituisce, progressivamente, l’accoppiata manovale/operaio di mestiere sulla cui attività si è fin qui basata la lavorazione industriale.

I mutamenti portati dal nuovo complesso della Fiat interessano anche il territorio cittadino che vede modificati i rapporti tra fabbrica e città. Infatti le rilevanti dimensioni dello stabilimento fanno si che questo non recluti le maestranze esclusivamente tra gli abitanti del territorio circostante, ma diventi il primo grande "polo occupazionale su scala cittadina" [L. Gambino, 1987], e cioè un’industria che utilizza come bacino di reclutamento della manodopera non più soltanto la zona nella quale sorge, ma la città intera.

Alla Fiat Lingotto (che riveste così un ruolo decisivo nell’incremento dell’immigrazione e nel popolamento di tutta la zona che va dalla Barriera di Nizza al Lingotto), lavorano quindi abitanti del rione che "abbandonano le attività agricole o le botteghe operaie per trasformarsi in operai" [G. Levi, 1985], operai provenienti da altri quartieri di Torino, dai comuni limitrofi (in gran parte contadini che continuano a vivere in campagna e a lavorare la terra, integrando con il salario Fiat il bilancio familiare, costituendo un primo marcato esempio di pendolarismo) e da diverse regioni italiane. Tra questi ultimi, oltre alle prime sparute presenze di meridionali, si trova una folta comunità di immigrati veneti che, giunti a Torino subito dopo la fine del primo conflitto mondiale, sono assunti dalla Fiat in un primo tempo come manovali per la costruzione della fabbrica e in seguito come operai.

In questa struttura sono occupati circa 12.000 operai e 500 impiegati, numeri di elevatissime proporzioni che impongono di "attrezzare" l’area intorno alla quale sorge lo stabilimento a contenere questo rilevante flusso di persone: l’ATM istituisce linee speciali negli orari di entrata e di uscita dalla Fiat e impianta nel 1925 in Via Millefonti e in Via Demonte (l’odierna Via Genova) "un binario per il ritorno dei tram verso il centro" [L. Gambino, 1987] e la Fiat costruisce per gli operai residenti fuori città "una propria stazione ferroviaria sulla grande linea Genova-Torino poco discosta dallo stabilimento"[PNF, 1932], ma è comunque il trasporto individuale (quasi sempre la bicicletta) a consentire a molti lavoratori di varcare ogni mattina i cancelli della fabbrica, che non è però solamente sinonimo di modernità ed innovazione, ma è anche il luogo simbolo del proletariato industriale torinese: una vera e propria risorsa per i movimenti comunisti e socialisti dalla quale attingere molti dei quadri operai che guideranno le lotte dei lavoratori cittadini.

All’interno dello stabilimento sono infatti attivi nuclei clandestini di fabbrica che, anche dopo la proclamazione, nel novembre del 1926, delle leggi eccezionali, continuano la loro tenace opera di propaganda e di opposizione al regime che ha nella stampa e nella distribuzione di giornali clandestini "una delle espressioni più importanti e più efficaci" [G. Levi, 1985]. L’alta combattività nel rivendicare migliori condizioni salariali porta i lavoratori del Lingotto ad assumere un importante ruolo all’interno del movimento operaio torinese, come traspare, ad esempio, dalla lettura delle pagine de «Il Martello», foglio clandestino del comitato di agitazione delle industrie metallurgiche Fiat, che elogia "l’azione unitaria degli operai della Fiat Lingotto che ha fatto rimandare la sostituzione del cottimo collettivo col cottimo individuale e che ci deve servire da sprone" [in G. Levi, 1985].

A partire dal 1927 nei reparti del Lingotto fa la sua comparsa il «Portolongone», un foglio clandestino litografato che rimanda il proprio nome a quello "del noto carcere dato allo stabilimento dalla tradizione sovversiva torinese durante la prima guerra mondiale" [Istoreto 2000], le cui pagine diventano un mezzo di denuncia delle opprimenti condizioni imposte dal padronato fascista, e che saranno, come si legge nel primo numero del mese di marzo, "un organo di lotta contro la tracotanza di papà Agnelli, contro il sanguinario regime del fascismo e del capitalismo italiano" [in G. Levi, 1985] anche negli anni più bui delle persecuzioni fasciste.

Intorno alla metà degli anni ’30 quella che è stata la fucina delle prime vetture entrate nell’immaginario italiano (la Torpedo, la Balilla e la Topolino) sembra avere fatto il suo tempo come stabilimento automobilistico, visto che oramai, come osserva Bonadé Bottino in una corrispondenza inviata a Giovanni Agnelli nel 1938, "i progressi dell’industria americana indicano nuovi orientamenti all’impostazione di officine moderne e la movimentazione verticale dei materiali imposta dagli edifici a più piani procura troppi inconvenienti organizzativi ed economici di fronte ad ingenti quantitativi di produzione" [V. Bonadé Bottino, 1963]. In sostanza, il Lingotto non appare in grado di sostenere il passaggio dalla struttura produttiva a chassis (che unisce in un unico prodotto finito, "secondo precisi piani prestabiliti, procedendo armoniosamente dal basso verso l’alto le circa 4500 parti dello chassis e le 3500 della carrozzeria"[PNF, 1932]) a quella della carrozzeria portante. Così a partire dal 1938, quando il progetto di costruzione del nuovo stabilimento della Fiat Mirafiori (adatto ad accogliere le moderne tecniche produttive) ha già preso una forma ben definita, Giovanni Agnelli pensa di cedere i fabbricati del complesso di Via Nizza. Un’operazione tutt’altro che semplice che si protrae per quattro anni senza approdare a risultati concreti visto che la Fiat deve incassare le rinunce del Comune di Torino, del Politecnico ed infine delle Ferrovie dello Stato che avrebbero potuto utilizzare il Lingotto come "officina di riparazione del materiale mobile ferroviario e per magazzino" [M.Pozzetto, 1975].

Il coinvolgimento italiano nel secondo conflitto mondiale impone però alla Fiat la necessità di non smantellare la fabbrica (per la quale, dopo i su citati rifiuti, non viene scartata l’ipotesi di una demolizione) e di non interrompere le lavorazioni, molte delle quali vengono però trasferite, a partire dai primi anni quaranta, nella neonata struttura di Mirafiori.

Le prime ad essere trasportate nei fabbricati di Corso Agnelli sono le tre officine ausiliarie 18, 19 e 20, rispettivamente calibri, costruzione e manutenzione macchine utensili e stampi, seguite dall’officina esperienze e, in ultimo, da quelle bulloneria e presse.

Sono questi gli anni in cui i lavoratori del Lingotto (che nel 1943 sono circa 7.000) forniscono il loro importantissimo contributo a tutte le agitazioni che coinvolgono l’intero movimento operaio torinese e che toccano i punti di maggiore rilevanza con gli scioperi del marzo 1943 (che hanno nella richiesta delle 192 ore per tutti gli operai e non solo per quelli sfollati e nella concessione di un’indennità di carovita i temi rivendicativi salienti), con quello generale del primo marzo del 1944 (che ha alla base motivazioni decisamente più politiche), per poi concludersi con quello del 18 aprile del 1945, prova generale dell’insurrezione cittadina.

Per la fabbrica questo periodo coincide anche con quella che Giovanni De Luna definisce "la triste realtà delle bombe" [G. De Luna, 1998], che, dal 6 settembre 1940, colpiscono a più riprese gli edifici del Lingotto. E’ però a partire dall’inverno del 1942, quando su Torino "250 bombardieri alleati sganciano 100.000 spezzoni da 4 libbre, una bomba incendiaria da 30 libbre ogni secondo e una massa di bombe esplosive" [G. De Luna, 1998], che inizia il periodo di maggiore difficoltà: tra il 19 novembre e il 9 dicembre lo stabilimento è vittima di quattro attacchi notturni (la notte tra il 18 e il 19, il 20 e il 21, il 29 e il 30 novembre e tra l’8 e il 9 dicembre) riportando i danni maggiori dopo il secondo di questi.

Nei due anni successivi la situazione non è certo destinata a migliorare se è vero, come attesta una domanda di indennizzo dei danni di guerra redatta dalla Fiat il 3 marzo del 1961, che "durante le incursioni aeree del 4 febbraio, 17 agosto, 8 novembre e 1 dicembre 1943 e del 3 gennaio, 29 marzo e 4 giugno 1944, l’intero stabilimento fu colpito da bombe dirompenti e spezzoni incendiari che danneggiarono, distrussero o resero inservibili le varie attrezzature, gli impianti, le materie prime, le merci in lavorazione, i materiali e i prodotti finiti presenti nei diversi reparti e locali sinistrati" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3398, fascicolo Fiat sezione Lingotto], rendendo necessaria per molti fabbricati, alla fine della guerra, una ricostruzione lenta e minuziosa.

Dopo l’8 settembre del 1943 e la conseguente occupazione tedesca di Torino si intensifica all’interno della fabbrica la lotta antifascista: qui, dove già dal 1934 opera una cellula comunista che fornirà un contributo decisivo all’organizzazione partigiana nello stabilimento, si formano le prime squadre Sap inquadrate nel distaccamento del Lingotto della X° Brigata Gramsci, una formazione che opera nel territorio compreso tra Nichelino, la collina, corso Vittorio Emanuele, corso Vinzaglio e, appunto, il quartiere del Lingotto.

Tra i cancelli della fabbrica i sappisti si occupano di organizzare la propaganda sotto diverse forme (scritte sui muri, distribuzione di volantini e fogli clandestini, riunioni), di fornire sostegno ai lavoratori (Raoul Droghetti, comandante della X° Brigata Gramsci ricorda ad esempio "le raccolte clandestine di sussidi dentro la Fiat" [G. Levi, 1985],da destinare alle famiglie dei lavoratori arrestati e alle formazioni partigiane), di compiere atti di sabotaggio e di mantenere i collegamenti con le cellule antifasciste delle altre industrie cittadine. La loro attività si svolge però anche al di fuori dello stabilimento e, oltre che ai sabotaggi, ai disarmi e ai prelevamenti, consiste anche nel fornire aiuto alla popolazione del borgo procurando soprattutto viveri e legna da ardere che nella maggior parte dei casi "è ricavata dai boschi del Sangone e di Stupinigi" [G. Levi, 1985].

Nel novembre del 1944 nasce il Cln aziendale, la cui attività va ad affiancare quella delle Sap in una fabbrica che all’epoca occupa circa 4.000 dipendenti.

Il 26 aprile del 1945, durante i giorni dell’insurrezione, il Cln aziendale assume "la direzione di tutto lo stabilimento controllando tutte le attività di lavoro, politiche, e curandosi di mantenere la massima fattiva collaborazione tra le diverse componenti politiche" [Verbali CLN aziendale E/77/C]. La prima preoccupazione è quella di elaborare un piano difensivo dello stabilimento (trasformato in una sorta di fortilizio) attuato attraverso una fattiva collaborazione con le sap e con i lavoratori, diventati, secondo le parole contenute in un comunicato dello stesso Cln aziendale diramato il 28 aprile 1945, una "forza attiva per la difesa dello stabilimento da eventuali attacchi" [Verbali CLN aziendale E/77/C] che deve "rimanere al proprio posto di combattimento secondo l’ordine del Comando militare" [Verbali CLN aziendale E/77/C].

Il 27 aprile i partigiani della Brigata Bergamaschi si insediano nello stabilimento che, dopo aver ripreso per ordine del Cln aziendale "la produzione di autocarri per l’impiego immediato" [Verbali CLN aziendale E/77/C] si trasforma "in una vera e propria caserma da cui partivano le puntate dei partigiani verso le zone del centro ancora in mano dei fascisti" [Istoreto, 1968]; inoltre l’arrivo dei partigiani e del loro equipaggiamento di armi pesanti consente agli operai asserragliati al Lingotto di rafforzare la difesa della fabbrica.

Durante la giornata hanno anche luogo nel quartiere alcuni combattimenti che vedono protagonisti i partigiani che, sostenuti dalle formazioni di fabbrica e forti delle armi ricevute dalla Guardia di Finanza ("una cinquantina di moschetti e due mitragliatrici" [Istoreto, 1968]), occupano la caserma della X Mas dove "si faceva un ricco bottino di armi e venivano fatti tre prigionieri chiusi nelle camere di sicurezza della Fiat Lingotto" e catturano "alla Fiat Lingotto un intero presidio della Brigata Nera, sette dei quali venivano passati per le armi" [Istoreto, 1968].

La sera dello stesso giorno, un rapporto del Cln cittadino informa che il III° settore (che oltre al Lingotto comprende anche Borgo San Pietro, il Pilonetto, Borgo San Salvario e una parte di Mirafiori) è stato completamente occupato dalle forze di liberazione e il giorno successivo, un Tribunale del Popolo è già in funzione alla Fiat Lingotto, dove, secondo un comunicato del Cln aziendale inviato il 12 maggio 1945 al Comando unificato del III° settore, il periodo di emergenza "iniziato il 26 aprile, può dirsi terminato in data 5 maggio 1945" [Verbali CLN aziendale E/77/C].

Nel dopoguerra, dopo il definitivo trasferimento a Mirafiori delle grandi produzioni in linea, alla Fiat Lingotto si esegue principalmente la produzione di parti per autoveicoli (alla quale si accompagna fino alla metà degli anni cinquanta anche quella di elettrodomestici come frigoriferi e lavatrici) fino al 1982, quando dopo aver intrapreso una politica di graduale diminuzione della manodopera, la Fiat decide di chiudere lo stabilimento.

Oggi, dopo la riconversione affidata all’architetto Renzo Piano, la struttura del Lingotto è diventata un centro polifunzionale (al suo interno sorge un centro commerciale, un cinema, uno spazio espositivo, un auditorium) mentre la Palazzina degli uffici, attentamente restaurata, è tornata ad essere la sede del centro direzionale della Fiat.


Fonti citate

Archivio:

Archivio storico Fiat, Danni di guerra, fascicolo 9;

Archivio di Stato di Torino, Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3398, fascicolo Fiat sezione Mirafiori;

Archivio Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, Verbali CLN aziendale E/77/C;

Bibliografia essenziale:

V. Castronovo, Fiat 1899-1999: un secolo di storia italiana, Rizzoli, Milano, 1999, [p. 285; 286; 287; 288];

V. Castronovo, Giovanni Agnelli, Utet, Torino, 1978;

G. Levi, Il Lingotto: storia di un quartiere operaio (1922-1973), in G. Levi, Cultura e associazioni operaie in Piemonte: 1890-1975, Franco Angeli, Milano, 1985, [p. 162; 163; 169; 170; 171; 186; 191; 193];

M.Pozzetto, La Fiat Lingotto: un’architettura torinese d’avanguardia, Centro Studi Piemontesi, Torino, 1975; [p.34; 51; 55];

Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, Torino in guerra 1938/45. Una guida per la memoria, Torino, 2000, [p. 43];

Partito Nazionale Fascista, Anno Decimo: Glorie e lavoro del Piemonte, a cura del Partito Nazionale Fascista di Torino, anno 1932; [p.19, 20; 21];

L. Gambino, Il Lingotto una volta. Voci e immagini di un sobborgo di Torino nei primi decenni del Novecento, Città di Torino/Circoscrizione 9, Torino, 1987; [p. 105; 106];

V. Bonadé Bottino, Centenario della nascita di Giovanni Agnelli-Incontri e ricordi, Centro Storico Fiat, 1963, [p.9];

G. De Luna, Torino in guerra (1940-1945), in Storia di Torino, a cura di N. Tranfaglia, vol.VIII, Dalla Grande Guerra alla Liberazione (1915-1945), Einaudi, Torino, 1998; [p.715];

L’insurrezione di Torino, Istituto storico della Resistenza in Piemonte. Studi e documenti, Parma, 1968; [p. 257;370];

G. Padovani, La liberazione di Torino, Sperling &Kupper Editori, Milano, 1979;

G.Alasia, G.Carcano, M. Giovana, Un giorno del ’43. La classe operaia sciopera, Gruppo Editoriale Piemonte, Torino, 1983;

Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, La costruzione della memoria a Barriera di Milano (1900-1950): esperienze umane e fatti storici, Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, Torino, 1983;

M. Schivo, Fiat Lingotto a Torino, in Comunicare l’architettura, a cura di B. Zevi e C. Benincasa, Seat, Milano, 1985 [p.323-341];

Archivio Storico Fiat, Fiat: le fasi della crescita. Tempi e cifre dello sviluppo aziendale, Scriptorium, Torino, 1996.

 
       
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