Manifattura Giovanni Gilardini - Lungo Dora Firenze, 19 |
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Intorno alla metà degli anni '50 del XIX secolo, lazienda smette di dedicarsi esclusivamente alla sola fabbricazione di ombrelli, ed inizia ad interessarsi anche alla produzione conciaria, sfruttando la grande tradizione che Torino vanta in questo settore e il progressivo sviluppo dellindustria del cuoio. In realtà la Gilardini è attratta dalle possibilità offerte da questo nuovo mercato, e coltiva lambizione di diventare unindustria nazionale specializzata nelle forniture militari. Ed il passo è breve: infatti, nel 1847, si assicura le commesse pubbliche per la fornitura degli equipaggiamenti dellesercito, incarico che assume un peso rilevante nel successivo sviluppo dellimpresa. Tra il 1860 e il 1875 lazienda raggiunge elevati livelli produttivi tali da rendere necessari non solo dei riadattamenti al primo stabilimento, ma anche la costruzione di un secondo impianto che, terminato nel 1876, sorge non lontano dal primitivo edificio (in Lungo Dora Firenze, allangolo con lodierno corso Giulio Cesare). Verso la fine del secolo la Gilardini, che riesce a realizzare una fusione quasi perfetta tra la conceria (che resta il settore trainante) e la lavorazione delle pelli e di altro materiale, è considerato uno dei maggiori opifici torinesi: occupa circa 850 operai (quasi un terzo della manodopera complessiva impiegata nellintero settore conciario cittadino) divisi tra la sezione meccanica (che si occupa della fabbricazione di cuoi per le forniture militari, della rifinitura di coperture da capo per usi civili e militari e della fabbricazione di ombrelli) e quella conciaria (concentrata in un unico grande reparto con vasche e tine da concia). Lazienda naviga così in acque floride, rafforzata non solo dalla ripresa delle ordinazioni militari, ma soprattutto dalla crescita della neonata industria automobilistica che, con la produzione di vetture ricche di accessori in pelle, rappresenta una nuova porzione di mercato e unimportante fonte di guadagno. Dal 1910 (dopo che il 4 dicembre 1905 lazienda si trasforma in Società Anonima Giovanni Gilardini), la Gilardini vede aumentare notevolmente i propri utili soprattutto negli anni della campagna di Libia, che coincidono con la crescita delle forniture per lesercito. A decidere le sorti dellimpresa è però un altro conflitto, quello mondiale. Infatti lingresso dellItalia nella grande guerra significa per la Gilardini lassegnazione di una massa di commesse pubbliche assai più elevata di quante ne abbia mai ottenute. Nel dicembre del 1914 un contratto stipulato tra lo Stato ed i vertici dello stabilimento torinese affida a questultimo la produzione di 30.000 paia di stivaletti da montagna e di 10.000 paia di scarpe da riposo, da consegnare tra il febbraio e il marzo dellanno successivo. A queste commesse se ne aggiungono presto molte altre. Tra il 1915 e il 1918 lo stabilimento torinese produce migliaia di pezzi: calzature alpine e gambaletti (circa 40.000), cinghie per fucili (100.000), finimenti per stanghe (12.000) e altri ancora, fornendo un apporto decisivo allequipaggiamento dellesercito italiano. Nel 1916, in pieno periodo bellico, la Gilardini è dichiarata stabilimento ausiliario ed è sottoposta quindi ad un rigido controllo militare. Gli operai, considerati militarizzati e sottoposti alla sorveglianza delle autorità militari, sono costretti a subire una dura disciplina di fabbrica: divieto di sciopero, sospensione delle norme che escludono il lavoro notturno per donne e fanciulli, intensificazione dei ritmi e dei tempi lavorativi e trasmissione delle questioni sindacali agli enti preposti (Comitati di mobilitazione industriale). In effetti non può essere altrimenti, viste le proporzioni raggiunte da questo complesso industriale che, accanto ai reparti di conceria e calzoleria, ha nel frattempo sviluppato, in via Aosta, una nuova sezione meccanica che occupa circa 170 operai ed è adibita alla fabbricazione di bombe "Dumezil" per cannoni da trincea. Complessivamente, nel 1916, la Gilardini impiega 1.398 dipendenti (tra i quali figurano 408 donne e 45 impiegati) distribuiti in categorie ben precise: operai specializzati, operai semplici, donne e ragazzi di entrambi i sessi con età inferiore ai quindici anni. La fine del conflitto coincide per la fabbrica con un periodo di grave crisi economica che porta, in primo luogo, ad una netta riduzione della manodopera che torna a stabilizzarsi su cifre non lontane da quelle del periodo ante bellico: nel novembre del 1918, ad esempio, il numero delle maestranze della società scende ad 887 (135 addetti alla sezione meccanica e 752 a quella della concia). I problemi legati alla riconversione post bellica degli impianti industriali, i pesanti tributi imposti dal fisco, loccupazione delle fabbriche (che qui ha risvolti drammatici sia in termini materiali con perdite e danni ingenti al reparto conceria che da quello dellordine pubblico con lirruzione della forza pubblica ad armi spianate nello stabilimento che provoca numerosi feriti tra gli operai e luccisione di una guardia) e il calo delle commesse (dovuto soprattutto alla riduzione dei prezzi e al crollo dei consumi) causano una crisi dalla quale la famiglia Gilardini (da sempre al timone dellimpresa) non è in grado di uscire. Così, il 5 febbraio del 1923, lazienda viene ceduta alla famiglia Borgione, che si assume il difficile compito (con lappoggio della Banca Commerciale) di traghettare limpresa fuori dalle difficoltà finanziarie. Il 1924 e il 1925 sembrano soddisfare le prospettive di rilancio che la famiglia Borgione si è prefissata: grazie alla concentrazione della produzione quasi esclusivamente sul comparto conciario e allintroduzione di nuovi sistemi di produzione, lazienda chiude i bilanci positivamente, cosa che permette anche di aumentare gli investimenti sia nella produzione conciaria che in quella di ombrelli. Inoltre anche la decisione della rivalutazione della lira a "quota novanta", stabilita dal regime fascista nel dicembre del 1927, incoraggia la ripresa della Gilardini che in pochi anni (grazie anche al prezioso aiuto della Banca Commerciale) riesce a risollevarsi. Ma è solo unillusione. Infatti, come molte altre imprese, anche la Gilardini subisce i nefasti effetti della grande crisi del 1929: dal 1930 perdite enormi riguardano sia il comparto conciario che la fabbrica di ombrelli (costretta a chiudere nel giugno del 1931) e a nulla valgono le politiche economiche adottate dal regime (prime tra tutte gli inasprimenti doganali per salvaguardare la produzione nazionale) e quelle adottate dallazienda (che nel 1931, per ridurre il passivo affitta al Comune alcuni locali del vecchio stabilimento utilizzato solo parzialmente). Nel 1935 unaltra vicenda bellica trae in salvo la Gilardini: con la campagna coloniale dEtiopia pervengono allazienda nuove commesse ed ordinazioni pubbliche, che permettono di rinsaldare i profitti ed il bilancio. La ripresa ha però vita breve ed è frustrata dalla politica autarchica del regime fascista: le limitazioni governative penalizzano la Gilardini che si vede così costretta a ridurre notevolmente la produzione e a lasciare inoperosi parecchi macchinari. Ciononostante i bilanci dellazienda continuano a dare esiti positivi, tantè che nel 1940 questa raggiunge un utile di quasi 700.000 lire, cifra che lascia presagire un futuro quanto meno tranquillo. A dare credito a questa ipotesi concorrono anche i primi due anni di guerra che corrispondono ad un periodo di prolifica attività, nonostante le oggettive difficoltà che impediscono di procurarsi facilmente le materie prime. Le cose cambiano nel 1943 quando le sconfitte dellasse iniziano a rendere palesi le difficoltà di una macchina bellica non perfettamente organizzata e quando anche la Gilardini (che fino ad allora è stata risparmiata) è colpita dai bombardamenti alleati (13 luglio1943), che distruggono buona parte dei macchinari e delle scorte, imponendo la chiusura dello stabilimento e la conseguente sospensione delle lavorazioni che riprendono, grazie agli sforzi compiuti dagli operai per la sistemazione dei reparti dopo oltre due mesi e mezzo. Nel periodo della Repubblica Sociale Italiana la Gilardini è oramai lontana dallo splendore degli anni precedenti impiegando solo più qualche centinaia di dipendenti e non prevedendo limpegno in nuovi investimenti in grado di risollevare lo stabilimento. Nemmeno negli successivi al conflitto, quando lazienda muta la ragione sociale in Concerie Gilardini, la situazione sembra destinata a migliorare: i danni materiali causati dalla guerra, la difficoltà nel processo di riconversione e la politica di severa austerità economica inaugurata dal governo Einaudi preparano la strada al definitivo declino dellazienda che nel maggio 1955 termina ogni attività industriale. Fonti citate Bibliografia essenziale: Valerio Castronovo, Gilardini 1905-1985. Storia di un gruppo industriale, Torino, Trealtro edizioni, 1985; Mario Abrate, La lotta sindacale nellindustrializzazione in Italia 1906-1926, Milano, Franco Angeli, 1967; Archivio Storico AMMA, Imprenditori piemontesi, a cura di P.L. Bassignana, Allemandi, Torino, 1994. |
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