Società Nazionale Officine Savigliano - corso Mortara, 4

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La storia della Savigliano ha radici lontane: nel 1869 il passaggio della linea ferroviaria Torino-Cuneo alla Società Alta Italia segna la chiusura dello stabilimento costruito in prossimità della stazione di Savigliano (adibito alla riparazione e alla costruzione di materiale ferroviario) dalla Società della Ferrovia Torino-Cuneo.

Dieci anni dopo, il 14 dicembre 1879, il sindaco di Savigliano, firma con i rappresentanti della Società Alta Italia un protocollo d’intesa in virtù del quale il Comune si impegna a versare una somma di 250.000 Lire e ad affittare alla compagnia belga Casa Rolin, (società costruttrice di materiale fisso e mobile), i vecchi locali delle officine della Società Ferrovia Torino-Cuneo per consentire la rinascita della fabbrica. Poco dopo, il 17 luglio del 1880, è fondata a Torino, con capitale sociale di un milione di Lire, la Società Nazionale Officine Savigliano, avente per oggetto la "costruzione e la riparazione di materiale ferroviario, ponti metallici, tettoie, costruzioni meccaniche, elettriche ed aeronautiche nonché la lavorazione dei legnami in genere", [Atto costitutivo della SNOS in Cento anni alle Officine di Savigliano 1880-1980].

Dopo la delicata fase di avvio la Savigliano conosce, in tempi brevi, una rapida espansione: con circa 640 dipendenti e una media di produzione di quasi 60 vagoni al mese, è in grado di soddisfare le richieste di prestigiosi acquirenti come le Ferrovie dell’Alta Italia, le Ferrovie Romane e, soprattutto, la Compagnia Internazionale dei vagoni letto, per la quale realizza una grossa fornitura di eleganti vagoni letto presentati anche all’Esposizione di Torino del 1884.

L’anno successivo l’azienda avvia una fattiva collaborazione con la torinese Società Anonima Italiana Ausiliare di strade ferrate, tramvie e lavori pubblici, costituita con capitale belga. Nel 1889 questa cooperazione (che in realtà ha il chiaro intento di evitare la concorrenza tra due società aventi una produzione sostanzialmente analoga) si conclude con l’assorbimento della società torinese da parte delle Officine Savigliano che ne ereditano anche gli immobili situati a Torino, in corso Mortara, nei pressi della Stazione Dora, che si estendono su una superficie di 30.000 metri quadrati e occupano 700 dipendenti.

Tra il 1892 e il 1912 lo stabilimento di Torino, in linea con l’indirizzo intrapreso dalla direzione, inizia a diversificare la produzione: la fabbricazione di macchinari elettrici e quella di costruzioni impiantistiche (come, all’estero, il ponte d’ingresso della stazione di Zurigo e quelli costruiti in Ungheria, Albania, Grecia ed Egitto seguiti dai viadotti di Trezzo sull’Adda e di Paderno, in Italia) ed elettromeccaniche vanno a sostituire, progressivamente, gran parte delle precedenti attività.

Tra il 1914 e il 1918, periodo in cui si registra la massima occupazione femminile, le esigenze dettate dal periodo bellico portano la società ad allargare il raggio delle produzioni: costruzioni aeronautiche (aeroplani, navicelle ed ossature per dirigibili, aviorimesse), pezzi vari per l’artiglieria (dai minuscoli congegni agli elementi più pesanti), bombe ed attrezzature di guerra, escono dallo stabilimento di Torino e da quello di Savigliano, dotato anche di un campo di aviazione sul quale eseguire le prove di collaudo dei velivoli costruiti.

Al termine del conflitto mondiale, quando il governo italiano decide di rilanciare e di modernizzare l’intera rete ferroviaria nazionale convertendo il sistema di alimentazione a corrente alternata con quello a corrente continua, i reparti di Torino iniziano la costruzione di una vasta gamma di locomotori (tra i quali figura anche il primo locomotore elettrico E551 del 1922) destinati non solo all’uso ferroviario, ma anche al trasporto di materiale all’interno degli stabilimenti industriali (i cosiddetti locomotori di manovra). La produzione però non si limita al solo settore rotabile: infatti tra il 1920 e il 1930 il complesso di corso Mortara esegue importanti lavorazioni nel campo della carpenteria metallica (come ad esempio la realizzazione dell’arcata in acciaio per la copertura della stazione centrale di Milano, o il Mercato Pubblico di Porta Palazzo a Torino), dell’edilizia portuale (progettazione e costruzione di gru elettriche per iporti di Genova, Napoli, La Spezia, Savona e Venezia), delle condotte idrauliche e degli impianti idroelettrici di varie dimensioni e caratteristiche, primo tra tutti la centrale di Genova, nel 1927, per la quale la Savigliano produce le ossature della maggior parte degli edifici.

Nel periodo immediatamente precedente la Seconda guerra mondiale la produzione dell’azienda registra un’ulteriore impennata dovuta all’intensa partecipazione alla campagna di Etiopia con la fornitura di "aviorimesse, ponti, antenne radiotrasmittenti, materiali ad uso militare, serbatoi e compressori stradali" [Anno Decimo, 1932] :lo stabilimento di Torino con i circa 300 impiegati e 1300 operai è oramai una realtà produttiva consolidata, adatta a sostenere lo sforzo della produzione bellica. Proprio qui, durante il periodo bellico, saranno fabbricati cilindri, porta siluri, granate, carri ferroviari, trattori, macchinari elettrici, telefoni militari da campo, apparecchi radio e altro materiale bellico, spesso sabotato dalle stesse maestranze.

Una forza lavoro altamente specializzata (tant’è che secondo un modo di dire molto diffuso tra gli abitanti di Borgo Vittoria "gli operai della Savigliano se hanno un chiodo in mano sanno lavorare anche con quello" [intervista a Enzo Pettini]) e dall’alta combattività.

In seguito ai disagi provocati dalla guerra, dalla fame e dalle bombe (che in realtà colpiscono solo marginalmente gli edifici di corso Mortara) l’8 marzo del 1943 i dipendenti della Savigliano (operai ed impiegati) si astengono dal lavoro: "i militari bloccano completamente corso Mortara dove c’erano i lavoratori delle Ferriere e della Savigliano. La paura ha fatto si che molti operai e impiegati entrassero dentro, ma lavorare non si è lavorato" [intervista a Enzo Pettini].

La risposta della direzione non si fa attendere ed è sintetizzata molto bene in una lettera che un gruppo di lavoratori invia al Cln aziendale, a Liberazione avvenuta, per denunciare il comportamento di un caporeparto che "schiaffeggia il personale per invitarlo a riprendere il lavoro in caso di sciopero", prassi seguita anche "da un ufficiale dell’esercito che si piazza davanti a un tornitore che è con le braccia incrociate dietro il tornio gli dice più volte, gridando, di mettersi a lavorare, e prende la pistola e gliela mette davanti alla faccia, ma lui niente, non si muove. Poi il militare allora lo schiaffeggia gridandogli di riprendere il lavoro, ma lui niente, non si muove, e nemmeno in mezzo al reparto nessuno lavorava." [Aisrp, E 84 a].

Una situazione di totale astensione dal lavoro si ripete anche l’anno seguente, il 1marzo 1944, quando le maestranze dell’azienda partecipano allo sciopero generale in maniera compatta senza incappare, questa volta, in nessun tipo di ritorsione né da parte della direzione né da parte del regime: "Ci fu un’adesione totale. Lo sciopero lo abbiamo fatto tutti insieme, operai ed impiegati. Non si sono fatti vivi né i tedeschi né i fascisti. Alla Savigliano hanno solo fatto capolino, ma sono subito andati via." [intervista a Enzo Pettini].

Fulcro di agitazioni operaie, ma anche importante avamposto della lotta antifascista: in fabbrica operano cellule partigiane che organizzano la lotta clandestina. "ci vedevamo all’interno di un tunnel dove erano contenuti i disegni che collegava un reparto ad un altro. Con la scusa di andare a vedere dei disegni, ti trovavi lì dentro per discutere, anche se molte altre volte ci trovavamo fuori. Anche perché dentro non sempre potevi, dovevi stare attento perché ci poteva essere quello che allungava l’occhio, che poteva andare a riportare." [intervista a Enzo Pettini].

Nella primavera del 1945, la svolta: la sera del 25 aprile gli operai occupano la fabbrica e iniziano la difesa armata dello stabilimento. Il mattino del 26 la prima azione partigiana: all’angolo tra corso Mortara e via Livorno, è assaltato con una molotov un autocarro sul quale viaggiano 4 tedeschi che sono presi in ostaggio e spogliati delle loro armi. Nel pomeriggio dello stesso giorno, i nazifascisti "con le colonne corazzate che escono dalle caserme del centro" [G.Padovani, 1979], iniziano a puntare sempre più frequentemente sullo stabilimento che subisce ingenti danni e che resta sotto il fuoco nemico fino alla sera.

Il 27 aprile, l’ultimo ostacolo prima della liberazione. La Savigliano è ancora sotto tiro: una colonna di carri armati Tigre giunge da corso Vigevano e si posiziona nel piazzale della stazione Dora da dove spara ripetutamente contro la fabbrica, all’interno della quale sono asserragliati operai e sappisti che non dispongono però delle armi necessarie ad un’adeguata difesa. La situazione è tale da far pensare ad una ritirata, ma iniziano ad arrivare dalle montagne le prime staffette di partigiani che, munite di armi pesanti (in particolar modo di pugni corazzati) riescono a scardinare il cingolo di un carro armato: dai tetti della Savigliano inizia una sparatoria che si prolunga per diverse ore e che si conclude con la fuga carri armati tedeschi.

Al termine del periodo bellico l’intero complesso porta ancora, marcati, i segni dei combattimenti: le mine fatte esplodere dai guastatori tedeschi e gli scontri dei giorni insurrezionali hanno danneggiato interi reparti. Ciononostante la ripresa è immediata e già nel maggio del 1945, le Ferrovie dello Stato consegnano allo stabilimento di corso Mortara una commessa di quattro locomotori elettrici trifase danneggiati da ricostruire. Ricomincia così l’attività produttiva.


Fonti citate

Archivio:

Archivio Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, (Aisrp), Cln aziendali e di categoria, b. E 84, f. a

Interviste:

Intervista di E. Miletto a Enzo P. "Guido", ex impiegato all’Ufficio tecnico della Savigliano e Comandante dell’8a Brigata S.A.P. "Osvaldo Alasonatti", dicembre 2002.

Bibliografia essenziale:

Anno Decimo, Glorie e lavoro del Piemonte, a cura del Partito Nazionale Fascista di Torino, 1932;

Società Nazionale Officine di Savigliano, Cento anni alle Officine di Savigliano 1880-1980, volume celebrativo dei cento anni di attività dell’azienda, a cura della direzione della Società Nazionale Officine di Savigliano (mai edito);

G. Padovani, La liberazione di Torino, Sperling & Kupfer, Milano, 1979 [p. 166];

Partito Nazionale Fascista, Rassegna provinciale Torino e l’autarchia. Parco del Valentino, maggio-giugno XVII, a cura dell’Ufficio stampa dei Fasci di combattimento, Torino, 1939;

G. Alasia, La scatola di cemento, Editori Riuniti, Roma, 1960;

G. Alasia, 30 mesi alla Savigliano, in "Mondo Operaio", giugno-luglio 1958;

G.Alasia, G.Carcano, M. Giovana, Un giorno del ’43. La classe operaia sciopera, Gruppo Editoriale Piemonte, Torino, 1983;

B. Biamino- V.Castronovo, La città segreta. Archeologia industriale a Torino, Edizioni del Capricorno, Torino, 1993;

M. Pettini, 8° Brigata S.A.P. "Osvaldo Alasonatti", Torino, A.N.P.I. Comitato di Zona 5° Circoscrizione, 1999

 
       
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