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  Caserma
Alessandro La Marmora
Via Asti, 22     ( bus: 53-56-66)

 

Prendendo la terza strada a sinistra di via Villa della Regina, nell'area precollinare di Torino, si arriva in via Asti. Al numero 22 si trova la caserma nota con il nome di Alessandro La Marmora, e attualmente utilizzata dalla Scuola di Applicazione dell'Esercito. Nata come sede stanziale di un reggimento di fanteria, venne costruita tra il 1887 e il 1888 su progetto del capitano del Genio Siro Brauzzi e prese il nome di caserma Dogali a memoria dell'omonimo fatto d'armi. Nel 1897 fu oggetto di alcune modifiche strutturali per ospitare il V reggimento Genio che vi rimase fino al 1920. L'anno successivo la caserma ospitò il IV reggimento Bersaglieri ciclisti e venne intitolata ad Alessandro La Marmora. Dopo l'8 settembre 1943 la caserma divenne il quartier generale dell'Ufficio politico investigativo della Guardia nazionale repubblicana. L'Upi provinciale con sede a Torino aveva l'incarico di reprimere con ogni mezzo (rastrellamento, cattura, tortura, fucilazione, deportazione) la lotta clandestina in città e in provincia. La caserma venne quindi trasformata in luogo di detenzione e di tortura per tutti coloro sospettati di connivenza con la resistenza. Abitualmente vi si svolgevano interrogatori con uso di strumenti di tortura e sevizie. Al comando del colonnello Giovanni Cabras vi "lavoravano" alcuni personaggi tra i quali spicca nelle testimonianze e negli atti del processo il maggiore Gastone Serloreti. Questi faceva parte della polizia politica dal 1931 e da sempre operava in Torino; dopo l'8 settembre venne mandato in via Asti come maggiore della Gnr e dirigente dell'Ufficio politico con il compito di catturare i partigiani e gli aderenti al movimento di liberazione nazionale, denunciarli ai tribunali fascisti, consegnarli alle forze armate tedesche per la fucilazione o la deportazione in Germania. Nel 1946 parallelamente al processo ai componenti dell'Upi della Gnr, il giornale "Sempre Avanti!" pubblicò, tra il 21 e il 28 aprile una serie di articoli su via Asti e contro Serloreti e i suoi uomini. Lo scopo era quello di rendere noto cosa era avvenuto e in quale modo. Scriveva: "Il lavoro in via Asti è ripartito scientificamente. Vannucchi apparentemente si occupa del lavoro di ufficio che consiste nel compilar le liste di coloro che saranno avviati alla deportazione in Germania. Lo assiste l'Azzario che debutta denunciando i suoi compagni della Snia Viscosa, colpevoli di aver organizzato lo sciopero del marzo. Azzario è un vecchio squadrista che ha dei conti da regolare con quelli che gli rinfacciarono la sua faziosità, dopo il 25 luglio. E si vendica da par suo […] è sufficiente sapere che la lista dei designati alla deportazione è stata scritta di suo pugno e lasciata in duplice copia fra le carte di ufficio.
Il Fagnola, il Gaslini, il Fenoglio, sono gli sgherri incaricati dei bassi servizi. Sono essi che interrogano le vittime […] sono gli specialisti della tortura i 'cinesi' di Serloreti".
È probabile che le "liste dei designati alla deportazione" di cui si parla fossero di fatto delle segnalazioni che venivano inoltrate alla Gestapo.
Ma via Asti era soprattutto luogo di interrogatori, tortura, detenzione e fucilazione. Ricorda Bruno Mulas: "Le notti di via Asti! 25 in una cella, stretti sopra un tavolaccio di quattro metri per tre. Il fiato del vicino alita sul viso come parole che si perdono in un soffio. La testa tra le gambe del compagno, cinque uomini per fila cercano di soffocare le loro pene nel sonno senza riuscirci. L'ultimo fa da cariatide, regge la fila colla schiena contro il muro freddo e duro e veglia finché un compagno pietoso non gli dà il cambio. Nessuno dorme finché torna dall'interrogatorio il compagno. Chissà in che condizioni ritorna! Il giorno che si leva è annunziato da squilli di tromba e rombo di motori. Sono gli "eroi" che partono per la razzia. Più tardi, alle prime luci, incolonnati tra le guardie i prigionieri lasciano il buio della cella per andare all'aria, in cortile. […] Alla luce questa povera umanità scopre la sua miseria. La fiera delle teste rotte, delle labbra tumefatte ha inizio […] Così è la via Asti dell'inverno del 1943" (Mulas, pp. 322-323).
Alla liberazione Livio Scaglione comandante partigiano scrisse: "Occupammo la caserma di via Asti nella notte tra il 27 e il 28 aprile e vi trovammo prigionieri morti e altri stremati dalla fame e distrutti dalle torture" (Le pietre della libertà, p. 54) e restò fortemente impressionato davanti alle sale dei sotterranei a queste adibite.
Serloreti accusato di grave collaborazionismo militare con il tedesco invasore venne condannato alla pena di morte insieme al Fagnola. Tutti gli altri componenti dell'Upi di Torino vennero condannati ad un numero variabile tra gli otto e i venti di anni di reclusione. Sospese dal ricorso le esecuzioni capitali, la Cassazione annullò nel 1947 la sentenza, senza rinvio per la sopraggiunta amnistia.
Una lapide posta nel 1962 dal Comando della divisione Cremona nel fossato dove avvenivano le fucilazioni recita: "Qui caddero / i valorosi patrioti torinesi / martiri della resistenza / 1943-1945".

Opere citate:
Mulas B., Via Asti, in 25 aprile.La Resistenza in Piemonte, Torino, Orma, 1946
Le pietre della libertà.Un percorso della memoria, Torino, Associazione nazionale famiglie martiri e caduti per la liberazione, 1995.
 

 
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