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Piazza Carlo Alberto: sullo
sfondo Palazzo Campana (ex Casa Littoria). |
Il palazzo che accoglie oggi la Facoltà
di Matematica dell'Università di Torino è noto come Palazzo
Campana, una denominazione recente entrata nell'uso dopo la guerra, che
trae origine dal nome del caduto cui era intitolata la formazione partigiana
che occupò l'edificio il 28 aprile 1945, il marchese Felice Cordero
di Pamparato. Tenente di artiglieria, sorpreso dall'armistizio nella zona
ligure e rifugiatosi in Svizzera per sfuggire alla cattura da parte dei
tedeschi, era rientrato in Italia agli inizi del 1944 spinto dalla lealtà
verso la monarchia e, con il nome di battaglia "Campana", si
era unito alle prime bande partigiane autonome della Val Sangone, diventando
una delle figure di maggior rilievo tra i comandanti delle formazioni
in quella vallata. Catturato casualmente, alla metà di agosto,
presso Giaveno da militi delle Brigate nere nel corso di una vasta operazione
di rastrellamento, fu portato in paese presso il comando fascista e interrogato
per due giorni, ma rifiutò di aderire alla Rsi: il 17 agosto veniva
impiccato ad un balcone della piazza della stazione con altri tre partigiani.
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Palazzo Campana, corridoio
nel quale si affacciavano le celle ricavate nelle cantine. |
L'edificio ha origini antiche: il 17 settembre
1675 veniva posta la prima pietra di un vasto complesso che doveva sorgere
sull'isolato concesso da Carlo Emanuele II ai padri dell'oratorio di San
Filippo Neri, secondo un progetto non dissimile da molti degli isolati
conventuali della Torino barocca, "il chiostro quadrangolare, richiesto
dagli statuti della congregazione, attorno al quale si sarebbero disposti
la parrocchia, l'oratorio e la casa, i tre elementi su cui si articolava
la vita dei religiosi" (Daprà Conti, p. 30). Verso la metà
del 1700 la forma della costruzione si era ormai definita, anche se le
maggiori attenzioni e lo sforzo finanziario dei padri dovevano riguardare
la chiesa di San Filippo, alla cui complessa vicenda architettonica parteciparono
Guarini e Juvarra. Soppressa la congregazione una prima volta nel 1801
dal governo napoleonico, l'edificio venne adibito a caserma per il battaglione
dei veliti, corpo militare al comando del principe Camillo Borghese, e
tale rimase fino al 20 maggio del 1814, quando il ritorno della monarchia
sabauda lo restituì ai padri, fino alla definitiva soppressione
dell'ordine decretata dalla legge Rattazzi del 29 maggio 1855. L'edificio
conventuale, ormai separato dagli spazi di culto e acquisito dallo Stato,
ospitò il Ministero dei Lavori pubblici e l'ufficio delle poste
centrali, la cui progettazione fu affidata a Alessandro Mazzucchetti (autore
a Torino della stazione di Porta Nuova). L'architetto, rappresentante
della corrente eclettica, realizzò la completa risistemazione dell'edificio
e la facciata su via Carlo Alberto, dove trovò sede il Ministero,
mentre collocò la nuova sede postale, aperta al pubblico il 21
febbraio 1861, sul lato dell'isolato prospiciente la piazza. Non è
improbabile che proprio la presenza della posta centrale (dove si recò
al suo arrivo per ritirare la corrispondenza) abbia guidato Friedrich
Nietzsche nella scelta della sua residenza torinese, la camera d'affitto
nell'alloggio in via Carlo Alberto 6, presso i coniugi Fino, con finestra
sopra l'ingresso della Galleria Subalpina. Il filosofo vi abitò
in due periodi tra il 21 aprile 1888 e il 5 gennaio 1889. Lo ricorda una
lapide apposta nel 1944 (via Carlo Alberto, all'angolo con la piazza omonima)
unica rimasta tra quelle collocate durante la Rsi, recante nella data
ancora l'indicazione dell'anno XXII dell'era fascista.
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Manifestazione del Partito
fascista in piazza Carlo Alberto, 1941.
(Ripresa dal balcone della Casa Littoria). |
Dopo il trasferimento della capitale a Firenze
(1865) e il trasloco della posta centrale nel nuovo palazzo di via Alfieri,
l'edificio ebbe destinazioni diverse, ospitando, tra gli altri, gli uffici
del Genio civile e l'Officina Carte valori, per essere acquisito nel 1908
dall'amministrazione comunale.
Il regime fascista vi collocò la sede della Federazione provinciale
del Partito, inaugurata il 28 ottobre 1929, dopo pochi lavori di riadattamento.
Il progetto non è strato reperito, ma è possibile individuarlo
attraverso la ricostruzione descritta da Maria Grazia Daprà Conti:
"La Casa Littoria era fruita, nel suo ruolo burocratico, dall'unico
ingresso monumentale di via Carlo Alberto e 'parlava' al popolo adunato
nella piazza, nelle scadenze predeterminate dal calendario fascista. Tre
elementi simbolici scandivano questo percorso ideale. Una grande scritta,
le cui tracce sono tuttora decifrabili sotto l'intonaco, sormontava il
portale d'ingresso. A sinistra del vestibolo era stato inserito il 'sacrario'
[...] al termine del corridoio del primo piano era stato posto un balcone
marmoreo da cui l'oratore designato avrebbe arringato la folla" (idem,
p. 42). Con il consolidarsi del regime la Casa Littoria si arricchì
di funzioni politico amministrative, accogliendo gli organi dirigenti
delle varie articolazioni della Federazione del Partito fascista. L'11
luglio 1943, il segretario federale dl Pnf torinese, Antonio Bonino vi
tenne l'ultima manifestazione ufficiale, con un comizio per incitare alla
resistenza contro gli alleati ormai sbarcati in Sicilia, ma due settimane
dopo l'organizzazione del partito si dissolveva con la caduta di Mussolini.
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Il 26 luglio 1943, dopo
la caduta del governo Mussolini, la Casa Littoria viene presa d'assalto
e parzialmente incendiata. |
La mattina del 26 luglio il palazzo venne
preso d'assalto da gruppi di manifestanti che percorrevano il centro cittadino.
Un incendio venne appiccato, e per lo sbarramento di folla all'altezza
di piazza Carignano, i Vigili del Fuoco poterono avvicinarsi solo nel
pomeriggio, come è testimoniato dalla relazione stesa dopo l'intervento:
"Abbiamo subito incominciato il lavoro dalla parte di via Principe
Amedeo 8 che durò per tre ore e mezza, molto faticoso per il molto
calore prodotto dalla molta carta che bruciava, e anche per la grandezza
dei locali che erano tutti incendiati".
Dopo l'8 settembre 1943 il palazzo ritornò ad essere la sede del
fascismo torinese, rinato come Partito fascista repubblicano, costituitosi
nella sede della Gil di piazza Bernini tra il 13 e il 16 settembre, con
a capo un triumvirato formato dal vecchio squadrista Domenico Mittica,
da Luigi Riva e da Giuseppe Solaro, lo stesso Solaro, nominato dopo poco
commissario federale, presiedette l'ultima seduta del Pfr il 14 aprile
1945; il 23 aprile, pochi giorni prima della sua cattura ed esecuzione,
era stato nominato ispettore delle Brigate nere e sostituito da Mario
Pavia nella carica di federale. Risalgono ai venti mesi del fascismo repubblicano
le celle ricavate nei sotterranei, almeno due, prospicienti un lungo corridoio
che dà accesso anche ad un ampio rifugio antiaereo, ancora esistente.
Qui vennero rinchiusi antifascisti e partigiani arrestati dalle Brigate
nere, probabilmente in attesa di trasferimento alle carceri: i prigionieri
lasciarono sulle pareti scritte e graffiti, segni del loro passaggio,
che erano ancora visibili negli anni passati.
Dopo il 1945 il palazzo fu destinato a sede universitaria, mantenendo
- unico tra gli edifici pubblici cittadini - la denominazione partigiana.
Se le tracce della grande scritta all'ingresso non sono più percepibili
dopo i recenti restauri che hanno riportato l'edificio alla originaria
cromia, la memoria più vicina del palazzo è legata alla
storia del movimento studentesco torinese del 1967-68.
Opere citate:
Daprà Conti, M.G., Palazzo Campana. Memoria e progetto, in Un progetto
per l'Università. La riorganizzazione funzionale e fisica di Palazzo
Campana a sede universitaria, Torino, Designers Riuniti, 1983.
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