stampa chiudi questa finestra
stampa chiudi
  Sacrario del Martinetto Corso Svizzera ang. Corso Appio Claudio   (tram: 9-13 bus: 2-32)

 

Festa della liberazione in piazza Vittorio a Torino.
Festa della liberazione in piazza Vittorio a Torino.

Il piccolo poligono di tiro, unica parte sopravvissuta di una più vasta costruzione, è consacrato alla memoria dei resistenti qui fucilati tra il settembre 1943 e l'aprile 1945. La sistemazione attuale risale al 1967, quando venne mantenuto, circondato da un piccolo giardino, il solo recinto delle esecuzioni, essendo stata abbattuta la gran parte della struttura, sulla cui area sono sorti gli attuali palazzi d'abitazione. All'interno, un cippo posto sulla spalletta, una lapide con i nomi di cinquantanove caduti e una teca contenente i resti carbonizzati di una sedia usata per le fucilazioni.
Le sue origini vanno fatte risalire alla costituzione della Regia società di tiro a segno, nata nel 1837 ad opera di un gruppo di gentiluomini torinesi, alla quale Carlo Alberto concesse il recinto detto del Pallamaglio, presso il castello del Valentino, dove venne edificato un primo poligono di tiro su progetto dell'architetto Carlo Sada, inaugurato l'11 maggio dell'anno successivo con gare e giochi. Nel 1861, dopo il riordino dello statuto - l'associazione - ora Società del Tiro a Segno Nazionale - offerse la presidenza al principe Eugenio di Savoia Carignano e proseguì la sua attività nella costruzione del Valentino, ampliata nel 1865 su progetto del colonnello Giovanni Castellani. Fu nel 1883 che il Comune di Torino ottenne la cessione di quell'area, costruendo in cambio il nuovo campo di tiro del Martinetto, affidato in uso perpetuo all'associazione: il complesso rettangolare, cinto da alte mura, si estendeva tra i prati e i campi al termine di corso Regina Margherita su una lunghezza di 400 metri e una larghezza di 120. In esso vennero annualmente svolte manifestazioni e gare di tiro nazionali e internazionali. Con la legge del 1934 sull'avocazione dei campi di tiro da parte dello Stato, iniziarono le pratiche per l'alienazione dell'area, interrotte dalla guerra. Dopo l'8 settembre 1943 venne scelto dalla Repubblica sociale come luogo dell'esecuzione delle sentenze capitali; cinquantanove partigiani e resistenti vi trovarono la morte sotto i colpi del plotone di esecuzione, con una modalità che si ripeté tragicamente: l'arrivo dei condannati all'alba, ammanettati, qualche decina di agenti di Pubblica sicurezza e di militi della Guardia nazionale repubblicana in attesa, le sedie poste all'estremità del poligono sulle quali sono legati con la schiena volta al plotone, la benedizione del cappellano, la lettura della sentenza, la scarica di fucileria. Ogni anno, a partire dalla imponente manifestazione dell'8 luglio 1945, il luogo è sede di una cerimonia commemorativa che si svolge il 5 aprile, nell'anniversario della fucilazione dei componenti del primo Comitato militare.
Il Comitato militare regionale piemontese (Cmrp) era stato costituito nella clandestinità a Torino nell'ottobre del 1943, inizialmente come organismo tecnico-consultivo dell'organismo di direzione politica della resistenza piemontese, il Clnrp (Comitato di liberazione nazionale regionale piemontese), con il compito di organizzare e coordinare l'azione delle bande partigiane già formatesi nelle vallate della regione. Vi fecero parte i rappresentanti dei partiti antifascisti: l'operaio Eusebio Giambone per il Partito comunista, Leo De Benedetti per il Partito d'azione (sostituito due mesi dopo dal professor Paolo Braccini), l'avvocato Renato Martorelli per il Partito socialista (sostituito poi dal medico Corrado Bonfantini), l'avvocato Valdo Fusi per la Democrazia cristiana, l'avvocato Cornelio Brosio per il Partito liberale. Accanto ad essi un gruppo di ufficiali effettivi: il colonnello Giuseppe Ratti, il capitano Franco Balbis, i maggiori Lorenzo Pezzetti e Ferdinando Creonti, i generali Giuseppe Perotti e Raffaello Operti, il tenente di complemento Silvio Geuna. Dalla fine del gennaio 1944, dopo una controversa direzione affidata ad Operti, Perotti divenne il coordinatore del Comitato. A partire dal mese di marzo, con l'intensificarsi della azione antipartigiana da parte di tedeschi e fascisti, il Comitato subì numerose perdite e arresti tra i suoi membri. Già il 4 febbraio Pezzetti fu ucciso dai fascisti in via Camerana, Errico Giachino, organizzatore delle squadre cittadine per il partito socialista, fu arrestato il 14 marzo, il 27 Quinto Bevilacqua, segretario della federazione del Psi clandestino, così come Giulio Biglieri, azionista. Il 29 furono catturati due ispettori del Comitato, i tenenti colonnello Giuseppe Giraudo e Gustavo Leporati e il tenente Massimo Montano. La cattura del nuovo rappresentante del Psi Pietro Carlando consentì alla polizia fascista di acquisire numerose informazioni, attraverso il sequestro di documenti, e di arrestare il 31 marzo nella sacrestia del Duomo in piazza San Giovanni l'intero Comitato: Perotti, Geuna, Giambone, Fusi, Braccini, Balbis e Brosio, vennero prima condotti in Questura (con una quarantina di cittadini rastrellati nelle vie adiacenti), interrogati e a mezzanotte del 1° aprile rinchiusi alle Carceri Nuove.
Il processo del Tribunale speciale contro di loro e contro gli arrestati nei giorni precedenti venne istruito in gran fretta. Mussolini in persona aveva ordinato di chiudere rapidamente e in modo esemplare la vicenda, per dimostrare all'alleato tedesco l'efficienza repressiva della Repubblica sociale. Il 2 aprile, domenica delle Palme, si tenne la prima udienza al Palazzo di Giustizia, nell'aula della Corte d'assise ordinaria, alla presenza dei massimi vertici fascisti, tra cui il ministro dell'Interno Buffarini Guidi, il prefetto Zerbino e il federale Solaro. Nonostante i tentativi di trattativa messi immediatamente in atto dal Cln, la mattina del 3 aprile, dopo una seconda udienza, il tribunale pronunciò il suo verdetto: la morte per Balbis, Bevilacqua, Biglieri, Braccini, Giachino, Giambone, Montano e Perotti; ergastolo per Carlando, Geuna, Giraudo e Leporati, due anni di carcere a Brosio, assoluzione per insufficienza di prove per Chignoli e Fusi. Verso le sei di mercoledì 5 aprile gli otto condannati furono condotti al poligono e qui fucilati, affrontando il plotone d'esecuzione con grande dignità e coraggio, come ricorda padre Carlo Masera, il missionario della Consolata che li assisté sino alla morte (Pansa, pp.47-48).
Ancora in periodo clandestino, nell'approssimarsi dalla fine della guerra, la volontà che il luogo che aveva visto nell'aprile 1944 la morte dei componenti il primo Comitato militare piemontese e di molti altri patrioti diventare il memoriale della resistenza torinese venne espressa nelle discussioni del Cln regionale quando nella seduta del 21 marzo 1945 il rappresentante della Democrazia cristiana, esponendo il desiderio di un sacerdote, propose che il Martinetto fosse considerato un luogo sacro e che non fosse profanato dopo la liberazione con altre fucilazioni; il rappresentante comunista si associò con la proposta che il luogo fosse considerato monumento nazionale incontrando il consenso unanime.
Solo il 1° agosto 1951 il vecchio poligono di tiro venne definitivamente chiuso e trasferito alle Basse di Stura, dove era da tempo sorto il nuovo poligono militare; l'anno precedente su iniziativa di alcuni dei protagonisti della resistenza piemontese, che avevano da pochi anni fondato l'Istituto storico della resistenza in Piemonte, Franco Antonicelli, Andrea Guglielminetti e Pier Luigi Passoni in particolare, il luogo fu riconosciuto d'interesse nazionale e posto sotto il vincolo. Il 26 luglio il quotidiano torinese "Il Popolo nuovo" ne annunciava la chiusura riprendendo le motivazioni che avevano mosso il Cln: "Il posto in cui caddero Perotti e tanti altri partigiani venne rispettato anche quando l'autorità giudiziaria si trovò a ordinare la fucilazione dei criminali di Villarbasse [1947]. Quegli sciagurati vennero infatti giustiziati al poligono delle Basse di Stura poiché le zolle del Martinetto erano fatte sacre dall'olocausto degli eroi - e altro sangue non poteva venir confuso col loro sangue. Tanto ricordo va perpetuato anche da parte di coloro che si varranno del vasto terreno per edificare un'altra zona della città nuova. Può - anzi, deve mutare la pianta d'ogni grande agglomerato urbano. Ma le memorie restano e col passar del tempo s'accrescono di luce e di eloquenza ammonitrice".

Opere citate:
Pansa G., Viva l'Italia libera! Storia e documenti del primo Comitato militare del Cln regionale piemontese, Torino, Isrp, 1995, 4a ediz.
 

 
© 2000-2002 
chiudi