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  Corso Vinzaglio angolo via Cernaia (tram: 1-13 bus: 55-65

 

Corso Vinzaglio angolo via Cernaia, oggi.
Corso Vinzaglio angolo via Cernaia, oggi.

Il 22 luglio 1944 quattro ostaggi furono impiccati per rappresaglia in corso Vinzaglio angolo via Cernaia, a poca distanza dalla caserma Riva, in seguito all'uccisione, avvenuta qualche giorno prima, di un sottufficiale della Rsi in forza al gruppo carri armati Leonessa. Un manifesto ne annunciò l'esecuzione: morirono il tenente Ignazio Vian, una delle principali figure della resistenza piemontese, comandante delle prime bande partigiane autonome attorno a Boves, che per primo attaccò i tedeschi nell'ottobre 1943, Francesco Valentino, gappista, catturato nell'azione che portò alla morte di Di Nanni, Battista Bena, contadino e il diciassettenne Felice Briccarello. Altri due, il gappista Giuseppe Bravin e l'operaio Giovanni Costanzo furono contemporaneamente impiccati presso il ponte sulla Stura in corso Giulio Cesare. I condannati, condotti sul luogo dalle Nuove a bordo di un autocarro, furono fatti salire su un secondo mezzo con le sponde abbassate, alla presenza di una piccola folla costretta ad assistere al macabro spettacolo, dopo che il traffico era stato interrotto e i passeggeri dei tram obbligati a transitare di fronte ai cadaveri appesi. Un improvviso allarme aereo disperse i soldati ed i civili; le salme rimasero esposte fino a notte (Giuntella, 1967, pp. 23-24). Una spettacolarizzazione che produsse il risentimento dello stesso Comando militare tedesco.
Un cippo è ora collocato tra le siepi di corso Vinzaglio a ricordo dei quattro caduti.
Nove mesi dopo, il 29 aprile 1945, Giuseppe Solaro, commissario del Partito fascista repubblicano di Torino, venne impiccato nello stesso luogo. Il 23 aprile aveva assunto la carica di ispettore delle Brigate nere.
Il giorno 27, ricevuta segnalazione di alcuni fascisti nascosti in una cantina, una squadra partigiana si recò al numero 8 di via Ospedale (l'attuale via Giolitti), arrestandovi quattro persone, tra cui Solaro. Dopo una prima sosta alla caserma Bergia per le pratiche di identificazione, i prigionieri furono condotti in questura per un ulteriore interrogatorio. Il 29 aprile il Cln emanò un "decreto legislativo", nel quale si ordinava che l'esecuzione di Solaro, condannato a morte dai Tribunali militari, avvenisse mediante capestro in deroga alle disposizioni allora vigenti. Il decreto, disponendo che l'esecuzione avvenisse pubblicamente e "in forma solenne", aveva l'evidente scopo di affermare la presenza di un potere in grado di rendere giustizia attraverso un atto carico di forte valenza simbolica, una "esposizione della morte" che potesse costituire l'atto finale della guerra civile, che comportò tragici strascichi, tra vendetta e giustizia: le esecuzioni sommarie di fascisti furono molte in città, le più numerose tra i grandi centri insorti, oltre 1000 morti, secondo le stime più prudenti. Alcune fonti ipotizzano la postdatazione del decreto, per coprire un'esecuzione sommaria, sottratta dalla folla ai comandi partigiani (Carcano, 1990, p. 79).
Annunciata l'esecuzione con altoparlanti, verso le ore 13 della stessa giornata Solaro fu condotto, a bordo di un camion scoperto, nel luogo dell'impiccagione e qui davanti alla folla venne eseguita la condanna. Colpi di mitra furono sparati contro il cadavere che venne poi issato su un automezzo e gettato nelle acque del fiume Po.
Il commissario del Partito fascista repubblicano, che apparteneva all'ala più intransigente del fascismo torinese, non si era aggregato alla colonna nazifascista che nella notte tra il 27 ed il 28 aprile aveva lasciato Torino, ma si era nascosto, forse confidando nell'azione dei franchi tiratori, di cui egli stesso aveva organizzato una fitta rete in previsione dell'insurrezione. Non si sa con precisione quale fosse a Torino il numero dei cecchini, sostenitori di una resistenza ad oltranza nella città e consapevoli della propria sorte. (Tadolini, 1998, pp. 159 ss.).
Franchi tiratori, snidati e uccisi, furono registrati in prevalenza nel centro cittadino, ai piani superiori degli edifici, nascosti dietro le imposte accostate o nei sottotetti. Caddero sotto il loro fuoco non solo i partigiani, tra cui il comandante del raggruppamento divisioni Garibaldi Massimo Ghi, ma anche numerosi civili che, incautamente, si avventurarono nelle strade. Per debellare il cecchinaggio la Giunta regionale di governo adottò la linea dura, condannando chiunque fosse sorpreso a sparare contro le forze del Cvl all'immediata fucilazione. Successivamente vennero disposte le chiusure dei passaggi di comunicazione tra le cantine e tra le medesime e le fognature bianche e nere: un ulteriore deterrente contro il perdurare delle sparatorie che si protrassero fino ai primi di maggio.
 

 
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