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Corso Vinzaglio angolo via
Cernaia, oggi. |
Il 22 luglio 1944 quattro ostaggi furono
impiccati per rappresaglia in corso Vinzaglio angolo via Cernaia, a poca
distanza dalla caserma Riva, in seguito all'uccisione, avvenuta qualche
giorno prima, di un sottufficiale della Rsi in forza al gruppo carri armati
Leonessa. Un manifesto ne annunciò l'esecuzione: morirono il tenente
Ignazio Vian, una delle principali figure della resistenza piemontese,
comandante delle prime bande partigiane autonome attorno a Boves, che
per primo attaccò i tedeschi nell'ottobre 1943, Francesco Valentino,
gappista, catturato nell'azione che portò alla morte di Di Nanni,
Battista Bena, contadino e il diciassettenne Felice Briccarello. Altri
due, il gappista Giuseppe Bravin e l'operaio Giovanni Costanzo furono
contemporaneamente impiccati presso il ponte sulla Stura in corso Giulio
Cesare. I condannati, condotti sul luogo dalle Nuove a bordo di un autocarro,
furono fatti salire su un secondo mezzo con le sponde abbassate, alla
presenza di una piccola folla costretta ad assistere al macabro spettacolo,
dopo che il traffico era stato interrotto e i passeggeri dei tram obbligati
a transitare di fronte ai cadaveri appesi. Un improvviso allarme aereo
disperse i soldati ed i civili; le salme rimasero esposte fino a notte
(Giuntella, 1967, pp. 23-24). Una spettacolarizzazione che produsse il
risentimento dello stesso Comando militare tedesco.
Un cippo è ora collocato tra le siepi di corso Vinzaglio a ricordo
dei quattro caduti.
Nove mesi dopo, il 29 aprile 1945, Giuseppe Solaro, commissario del Partito
fascista repubblicano di Torino, venne impiccato nello stesso luogo. Il
23 aprile aveva assunto la carica di ispettore delle Brigate nere.
Il giorno 27, ricevuta segnalazione di alcuni fascisti nascosti in una
cantina, una squadra partigiana si recò al numero 8 di via Ospedale
(l'attuale via Giolitti), arrestandovi quattro persone, tra cui Solaro.
Dopo una prima sosta alla caserma Bergia per le pratiche di identificazione,
i prigionieri furono condotti in questura per un ulteriore interrogatorio.
Il 29 aprile il Cln emanò un "decreto legislativo", nel
quale si ordinava che l'esecuzione di Solaro, condannato a morte dai Tribunali
militari, avvenisse mediante capestro in deroga alle disposizioni allora
vigenti. Il decreto, disponendo che l'esecuzione avvenisse pubblicamente
e "in forma solenne", aveva l'evidente scopo di affermare la
presenza di un potere in grado di rendere giustizia attraverso un atto
carico di forte valenza simbolica, una "esposizione della morte"
che potesse costituire l'atto finale della guerra civile, che comportò
tragici strascichi, tra vendetta e giustizia: le esecuzioni sommarie di
fascisti furono molte in città, le più numerose tra i grandi
centri insorti, oltre 1000 morti, secondo le stime più prudenti.
Alcune fonti ipotizzano la postdatazione del decreto, per coprire un'esecuzione
sommaria, sottratta dalla folla ai comandi partigiani (Carcano, 1990,
p. 79).
Annunciata l'esecuzione con altoparlanti, verso le ore 13 della stessa
giornata Solaro fu condotto, a bordo di un camion scoperto, nel luogo
dell'impiccagione e qui davanti alla folla venne eseguita la condanna.
Colpi di mitra furono sparati contro il cadavere che venne poi issato
su un automezzo e gettato nelle acque del fiume Po.
Il commissario del Partito fascista repubblicano, che apparteneva all'ala
più intransigente del fascismo torinese, non si era aggregato alla
colonna nazifascista che nella notte tra il 27 ed il 28 aprile aveva lasciato
Torino, ma si era nascosto, forse confidando nell'azione dei franchi tiratori,
di cui egli stesso aveva organizzato una fitta rete in previsione dell'insurrezione.
Non si sa con precisione quale fosse a Torino il numero dei cecchini,
sostenitori di una resistenza ad oltranza nella città e consapevoli
della propria sorte. (Tadolini, 1998, pp. 159 ss.).
Franchi tiratori, snidati e uccisi, furono registrati in prevalenza nel
centro cittadino, ai piani superiori degli edifici, nascosti dietro le
imposte accostate o nei sottotetti. Caddero sotto il loro fuoco non solo
i partigiani, tra cui il comandante del raggruppamento divisioni Garibaldi
Massimo Ghi, ma anche numerosi civili che, incautamente, si avventurarono
nelle strade. Per debellare il cecchinaggio la Giunta regionale di governo
adottò la linea dura, condannando chiunque fosse sorpreso a sparare
contro le forze del Cvl all'immediata fucilazione. Successivamente vennero
disposte le chiusure dei passaggi di comunicazione tra le cantine e tra
le medesime e le fognature bianche e nere: un ulteriore deterrente contro
il perdurare delle sparatorie che si protrassero fino ai primi di maggio.
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