Arsenale Militare - Piazza Borgo Dora, 3

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Quella dell’Arsenale Militare di Borgo Dora può certamente essere definita una storia di lungo periodo: indicazioni circa l’esistenza di un opificio destinato alla fabbricazione di materiale pirotecnico ubicato in questo spazio cittadino (denominato allora regione delle rezighe, per la presenza di numerose segherie azionate dall’energia idraulica del canale dei Molassi, meglio conosciuto dai torinesi come la bealera dij molass) sono addirittura fornite dalle cronache dell’ultimo ventennio del XVI secolo.

Infatti è a partire dal 1580 che Emanuele Filiberto decide di trasformare buona parte delle seghe destinate alla lavorazione e al taglio del legname in macine adibite alla produzione di polvere da sparo per evitare una dipendenza quasi totale dalle forniture estere: nasce così la Regia Fabbrica delle Polveri e Raffineria dei Nitri.

Con il trascorrere degli anni, il complesso è oggetto di numerose modifiche e di rilevanti ampliamenti: nel 1673 la direzione approva un progetto dell’ingegner Rubatto che prevede una nuova progettazione dei macchinari; nel 1717 lo stabilimento è dotato di una moderna tipologia di macina mossa dai cavalli che permette così di non subordinare l’intero funzionamento degli impianti alle discontinue piene della Dora e nel 1754, per ordine di Carlo Emanuele III, i locali sono accresciuti di un nuovo magazzino adibito a deposito per la polvere. E’ però il 1767 a rappresentare una data cruciale nella storia della fabbrica: infatti, calcolati i vantaggi derivanti da una gestione diretta dello stabilimento, Carlo Emanuele III decide di acquistare per una somma di "Lire 90.000, degli edifici della Polveriera, del Canale Bertola e di una conceria attigua" [Bianchi, 1975], avviando il decollo economico del complesso industriale.

Tra il 1775 e il 1788 l’edificio è totalmente ricostruito seguendo il progetto del colonnello di artiglieria Antonio Quaglia e nel 1815, dopo il ritorno di Vittorio Emanuele I dalla Sardegna, l’acquisto di nuovi terreni adiacenti all’opificio ne permette un ultimo e significativo ampliamento.

La Fabbrica delle Polveri si presenta così come un apparato produttivo di notevoli dimensioni: si estende da nord a sud per 308 metri su 170 di larghezza, è attraversato da due canali (uno motore e l’altro scaricatore), comprende gli edifici per i granitoi, le botti ternarie per le miscele, 13 mulini, macine per il carbone e numerosi altri impianti, insieme a circa 40.000 chilogrammi di polvere da sparo custoditi all’interno di 800 barili.

Il 26 aprile del 1852 il complesso della polveriera conosce una delle pagine più amare della propria storia: alle 11,45 la combustione spontanea di una botte ternaria nel deposito munizioni, si propaga agli altri reparti provocando l’esplosione di circa 25.000 chilogrammi di polvere da sparo e la quasi immediata distruzione di buona parte degli edifici e dei macchinari. Una tragedia in piena regola che costa anche un prezzo notevole in termini di vite umane: tra le macerie si contano 20 morti e 19 feriti, 3 dei quali deceduti in ospedale.

L’esplosione ha serie ripercussioni anche sul territorio circostante: in tutto il Borgo Dora (rione assai "popolare" abitato da circa 24.000 persone) sono danneggiate sia le singole abitazioni (quelle più vicine allo scoppio vanno distrutte quasi completamente, le altre denunciano seri problemi ai tetti, ai balconi, ai muri e alle vetrate) che le strutture come il Cottolengo e il Cimitero di San Pietro in Vincoli.

Una sciagura di vaste proporzioni fatta propria da tutta la cittadinanza e dalle istituzioni che si fanno promotrici di sottoscrizioni per la raccolta di fondi in favore degli abitanti del quartiere (ad esempio la Gazzetta del Popolo e Vittorio Emanuele II raccolgono rispettivamente la cifra di 705 e di 5.000 lire), ai quali si aggiunge la distribuzione di vestiario, generi alimentari e di prima necessità.

Dopo il luttuoso avvenimento Vittorio Emanuele II decide di trasferire la Regia Fabbrica delle Polveri in una località più idonea, lontana dal centro abitato: dapprima in regione Stura e poi, successivamente, ad Avigliana.

Lo stabilimento di Borgo Dora è invece destinato ad ospitare alcune delle lavorazioni del Regio Arsenale di Torino che, organizzato in fonderia e laboratorio di precisione, fabbrica d’armi, arsenale di costruzione e laboratorio pirotecnico, presenta diverse sedi dislocate in vari punti del territorio cittadino. Il laboratorio chimico e dei metalli, la fucina armi pesanti e la scuola d’armi trovano spazio nel palazzo di via Arsenale (nell’isolato compreso tra le odierne via Arcivescovado, Arsenale, Biancamano e Don Minzoni), la fucina delle aste per fucili sorge in regione Valdocco (nel territorio che sarà poi occupato dalle Ferriere Fiat), e le lavorazioni relative alla produzione e alla riparazione di affusti di artiglieria e carreggi si concentrano nell’edificio di Borgo Dora.

L’edificazione dell’Arsenale di Borgo Dora, ufficialmente denominato Arsenale delle Costruzioni di Artiglieria di Torino, muove il primo importante passo il 2 marzo del 1862 quando, con un atto notarile, Vittorio Emanuele II "ne sanziona ufficialmente la costruzione" [Bianchi, 1975]. Della realizzazione pratica del nuovo opificio si occupa il Genio Militare, che nel 1867 inizia a fabbricare l’edificio in stile neomedioevale con un porticato e una torretta. Due anni dopo il Comune destina alla costruzione dell’Arsenale la cospicua somma di Lire 145.000, che permette non solo di terminare l’opera ma anche di rinnovare ed ampliare le officine che, dopo l’assorbimento dei locali del vecchio mattatoio, arrivano ad occupare "un comprensorio di circa 60.000 metri quadrati" [Daprà, 1984].

Dai primi anni di vita all’inizio del conflitto mondiale, i numeri della fabbrica di Borgo Dora sono quelli di un apparato produttivo di rilievo: l’Arsenale costruisce annualmente una quantità di veicoli compresa tra le 600 e le 800 unità, fabbrica circa 180 ruote alla settimana, inizia la lavorazione di prodotti di selleria (che con il passare del tempo diventa una delle attività tipiche dell’impianto), possiede quattro turbine idrauliche azionate dalle acque del canale Martinetto (che nel 1900 sono progressivamente soppiantate dal ricorso all’energia elettrica) e occupa dai 500 agli 800 operai, tutti civili. Insieme alle maestranze l’organico comprende anche applicati (ufficiali militari), capi tecnici principali, capi tecnici, sotto capi tecnici e scrivani, tutti diretti da un colonnello al quale è affiancato, nel ruolo di vice direttore, un tenente colonnello.

E’ però nel periodo della prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1918, che l’Arsenale raggiunge i livelli produttivi più elevati: dal complesso di Borgo Dora sono spediti al fronte "200 affusti di artiglieria di grosso, 1.850 di medio e 2.900 di piccolo calibro, 3.000 avantreni e rimorchi di artiglieria, 2.000 carri rimorchio, 4.500 rotaie e cingoli per pezzi, 100.000 bardature da carico, 20.000 bardature a sella, finimenti e buffetterie" [Bianchi, 1975].

Il consolidamento dell’attività produttiva dell’opificio prosegue anche dopo la fine del conflitto mondiale: tra il 1919 e il 1939 i macchinari sono potenziati e alle tradizionali lavorazioni si affianca la revisione dell’artiglieria, la trasformazione degli armamenti requisiti durante il conflitto, la progettazione e la costruzione di dispositivi relativi al trasporto dell’artiglieria.

Durante il secondo conflitto mondiale la produzione dell’Arsenale, che occupa 1.377 dipendenti, tocca vertici altissimi in particolare per quanto riguarda le forniture di "artiglierie di piccolo e medio calibro, dei carreggi, dei materiali di selleria" [Bianchi, 1975], che nemmeno i bombardamenti (l’incursione aerea più pesante che si abbatte sull’azienda è quella del 28 novembre 1942) riescono a fermare.

Il 25 aprile del 1945, nel corso dell’ultimo e decisivo atto della lotta di Liberazione, l’edificio è occupato dalle maestranze e dalle formazioni partigiane che sistemano sul tetto della fabbrica due mitragliatrici con le quali tengono sotto tiro il ponte Mosca, punto di passaggio nevralgico e cruciale.

Terminato il conflitto l’Arsenale riprende l’attività produttiva con degli importanti mutamenti: alla diminuzione del numero dei lavoratori impiegati, corrisponde un ammodernamento degli impianti per l’esecuzione di lavorazioni di alta qualità rivolte "allo studio e alla realizzazione prototipi, alla riparazione dell’artiglieria, alla produzione di accessori e parti di ricambio, all’allestimento di materiali di selleria e al collaudo di buffetterie, manufatti di cuoio e vernici" [Bianchi, 1975].


Fonti citate

Archivio:

Archivio Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, Cln aziendali e di categoria, busta E 73, fasc. c, sottofasc. Arsenale;

Bibliografia essenziale:

C. Bianchi, Porta Palazzo e il Balon. Storia e mito, Torino, Editrice Piemonte in Bancarella, 1975, [pp. 129, 134-136];

M. Daprà, Ricupero e riuso dell’Arsenale di Borgo Dora in Torino, Atti del II° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Ristrutturazione e Consolidamento Costruzioni La città difficile, Ferrara 30 maggio-2 giugno 1984, [p. 432];

Archivio Storico AMMA, Imprenditori piemontesi, a cura di P.L. Bassignana, Allemandi, Torino, 1994.

 
       
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