Secondo i dati forniti dall'Annuario Statistico
del Comune di Torino (1938), nella Sez. IX (Vanchiglia) e Sez. X (Valentino)
risiedevano rispettivamente 253 e 276 ebrei, poco meno della metà
di una popolazione complessivamente censita in quell'anno per un insieme
di 1414 individui.
La città delle leggi razziali è una città frazionata
in diverse realtà: la città del benessere, di chi ormai abita
sui lunghi viali e alla Crocetta (o nelle ville della collina) e la città
dei piccoli commercianti, degli artigiani che dal vecchio epicentro di piazza
Carlina non si erano mai allontanati, per carenza di mezzi economici, ma
anche per fedeltà a se stessi e alla propria storia.
Fatalmente, dopo l'autunno del 1938, spinti dall'incalzare degli eventi
le due città si protendono verso la zona adiacente alla Sinagoga,
dove gli incontri per creare ex novo la scuola e discutere la serie incalzante
di provvedimenti che riguardano i cittadini "di razza ebraica",
s'intensificano.
Novant'anni esatti dai decreti di emancipazione e dallo Statuto avevano
distribuito gli ebrei torinesi in tutta la città, tuttavia le vie
limitrofe a Piazza Carlina costituivano ancora per le famiglie meno abbienti
il guscio da cui era doloroso allontanarsi. Qui sorgeva il vecchio ghetto,
qui erano (e sono) visibili i cancelli in ferro battuto che lo delimitavano,
qui perdurava il ricordo del cibo saporito e fedele alle norme rituali servito
fino alla fine del secolo scorso dalla trattoria "Ghetto Vecchio",
gestita da un personaggio leggendario come Aron Bachi.
Dopo il 1938, il nuovo centro diventa il reticolo delle vie limitrofe alla
via San Pio V: via Galliari, via Sant'Anselmo, via Goito, via Berthollet,
via Bidone (con due non trascurabili appendici, agli estremi topografici
e anagrafici: via Orto Botanico, 13 sede dell'orfanotrofio e piazza Santa
Giulia, 12 sede dell'ospizio per gli anziani). L'effetto ultimo delle nuove
interdizioni fasciste è dunque l'istituzione di un Ghetto Nuovo,
intorno al quale gli edifici per i bambini e gli anziani ruotano come due
satelliti.
Il quinquennio che separa l'inizio della legislazione razziale e l'avvio
delle retate e degli arresti va studiato nelle diverse tappe, ma è
visibilmente segnato da un "prima" e da un "dopo": il
bombardamento del 21 novembre 1942, che rase praticamente al suolo la Sinagoga.
Segnali allarmanti della tragedia incombente si erano avuti anche prima,
con l'arrivo di profughi ebrei dalla Germania, ospitati negli stessi edifici
di via Sant'Anselmo e con le sinistre avvisaglie di una campagna antisemita
che, in città, aveva assunto toni preoccupanti soprattutto a partire
dall'autunno 1941 (attentato al portone della Sinagoga, affissione di lugubri
manifesti inneggianti all'odio antiebraico). Erano avvertimenti, prove generali
del tentativo operato dal nazifascismo di fare di Torino una "città
senza ebrei".
Nulla tuttavia segnò la biografia di giovani e meno giovani come
il vedere crollare in frantumi l'architettura vagamente esotizzante della
grande Sinagoga, con le sue quattro cupole a tegole d'ardesia, squame di
pesce e antenne d'oro. Le bombe che distrussero la Sinagoga sono il segnale
che chiude sempre più ermeticamente ogni rapporto con il mondo esterno.
(A.C.)
Piazza Carlina |
La Sinagoga
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La scuola
La prima sede, presso le Officine Serali di via Bidone, 33; la sede degli uffici comunitari di via Sant'Anselmo, 7 e della scuola; la sede staccata di via Orto Botanico, 13. |
Porta Susa: I luoghi della precettazione e del lavoro coatto: magazzino della Società Tranvie (Satti) - corso Italo Balbo, 92 Terreno del demanio dello stato, vicino alla stazione di Porta Susa, dove ora sorge il grattacielo della Rai: qui nell'ottobre 1942 una sessantina di ebrei torinesi furono precettati. |
Ospizio israelitico
In una palazzina ottocentesca, a ridosso di corso S.Maurizio, erano ospitati nel 1938 circa una sessantina di anziani, la maggioranza originaria di Casale Monferrato, quasi tutti indigenti. Al suo posto oggi sorge un moderno palazzo, ma negli anni Cinquanta e primi Sessanta fu ancora una delle sedi più animate e vivaci della vita comunitaria. |
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