Cinquemila foto a Torino nell’archivio dell’Istoreto: una visione dal basso alternativa a quella del regime. Faccette bianche

di Giovanni De Luna

L’articolo è stato pubblicato su “La Stampa” il 14 febbraio 2022*.

La fotografia, inedita, del boia italiano, incappucciato quasi a evocare il razzismo del Ku Klux Klan; è il volto più feroce della violenza scatenata dai fascisti in Etiopia: 250 mila furono i morti nei sette mesi di combattimenti tra il 1935 e il 1936 (4.500 furono le perdite italiane, non contando quelle degli ascari), ai quali bisogna aggiungere le circa 40 mila vittime della repressione contro i ribelli nei cinque anni successivi, fino al 1941 quando la sconfitta contro gli inglesi nella seconda guerra mondiale provocò la fine dell’effimero Impero voluto da Mussolini. Negli stessi anni l’Italia in territorio etiopico spese cifre ingenti (14 miliardi dell’epoca) in lavori pubblici, costruendo migliaia di chilometri di strade, compresa quella “imperiale” che collegava direttamente Addis Abeba con Mogadiscio. E un’altra fotografia- con gli italiani al lavoro per fare quelle strade- si affianca a quella del boia per ricordarci quest’opera che ebbe una sua grandiosità.

“Italiani brava gente” da un lato; “italiani sfruttatori e razzisti” dall’altro. Nel dibattitto pubblico sulle avventure del nostro colonialismo in Africa questi stereotipi opposti rimbalzano in una sorta di ping pong che seppellisce il nostro passato novecentesco sotto una montagna di luoghi comuni. Ora arriva un anniversario che non mancherà di rinfocolare le polemiche; tra il 19 e il 21 febbraio 1937, infatti, migliaia di etiopi (con donne e bambini fra loro, e le cifre variano a seconda delle fonti) furono uccisi dai fascisti italiani come spietata rappresaglia per l’attentato in cui era stato ferito il vicerè Rodolfo Graziani. C’è chi ha suggerito di proclamare quella data “giornata della memoria delle vittime del colonialismo italiano”, da aggiungere quindi alle altre giornate che già affollano di vittime la nostra memoria pubblica e provocando così l’ennesima polarizzazione tra i diversi schieramenti che si fronteggiano nella grande arena dell’uso pubblico della storia. Più storia, meno memoria è l’antidoto più efficace per questo tipo di veleni. E più storia vuol dire più documenti, più ricerche di archivio, più fonti che ci aiutino a conoscere meglio il nostro passato coloniale a partire dal “vissuto” degli italiani in Africa, un tema che si sta imponendo agli occhi degli storici e che vede emergere dagli album di famiglia fotografie, cimeli, diari, lettere che ci aiutano a capire un fenomeno ancora in larga misura inesplorato. Le foto citate all’inizio, ad esempio, appartengono alla documentazione raccolta dall’associazione “Il sogno di Tsige”, in collaborazione con l’Archivio audiovisivo canavesano, nell’ambito di un progetto nazionale avviato dal MOXA di Modena. Gran parte di questo materiale è ora confluito nell’Archivio dell’Istoreto e diventerà presto accessibile a tutti gli studiosi.

Nelle circa 5 mila foto, che riguardano la sola Etiopia, c’è di tutto. Ma soprattutto c’è uno sguardo “dal basso”, alternativo a quello “ufficiale” dell’Istituto Luce e del regime, che vede protagonisti civili, militari, coloni, uomini e donne tutti armati di macchina fotografica, “raccoglitori” di immagini spontanee nelle quali si vedono italiani che costruiscono ponti e strade, che impiccano e fucilano, che indugiano nei sogni erotici e razzisti legati alla “bella abissina”; si vedono, soprattutto,  le famiglie dei nostri coloni che coltivano giardini e campi proponendo un modello di famiglia contadina solida e ben strutturata. Certo l’Impero fascista durò pochissimo – solo cinque anni- e fu tutto nel segno della guerra, prima quella contro le truppe di Hailè Selassiè, poi quella per la repressione dei “ribelli” e infine lo scontro con gli inglesi. E lo sguardo dei militari- uomini soli, arrivati in Africa per uccidere o per farsi uccidere- è largamente prevalente anche in questo sguardo dal basso.

Pure le scene di vita quotidiana mostrano una consuetudine con gli etiopi (magari ammantata di paternalismo, come nelle immagini dei bambini a cui viene insegnata la pulizia con acqua e sapone) che rinvia a un progetto di convivenza che si sottrae alla politica segregazionista e razzista delle autorità fasciste. Secondo dati riferiti all’ottobre 1939, gli italo-etiopici erano ufficialmente 35.441, dei quali 30.232 maschi (85,3%) e 5209 femmine (14,7%), in prevalenza militari ed amministratori appena venuti dall’Italia, mentre erano 3.200 gli agricoltori arrivati in colonia. Queste foto li rappresentano tutti. Per molti di loro, l’avventura africana finì prestissimo: nel 1941,  dopo la sconfitta, grazie a un accordo con il governo britannico, mentre gli uomini validi restavano prigionieri, rinchiusi nei campi di concentramento e o deportati in Sudafrica e in India, i feriti, le donne e i bambini furono imbarcati sulle “navi bianche” (“Saturnia”, “Vulcania”, “Caio Duilio” e “Giulio Cesare”, dipinte di bianco con grandi croci rosse), che affrontarono il periplo dell’Africa, (fu vietato loro di passare attraverso il canale di Suez), in un viaggio di circa 50 giorni che li riportò in Italia (l’ultima nave attraccò nel porto di Taranto nell’agosto 1943).  In quel viaggio, gli italiani “brava gente” mischiarono le loro sofferenze dell’esilio, del lutto e dell’abbandono con quelle degli altri, (la “mala gente”), accomunati in unico doloroso rimpianto.

*Lo storico Giovanni De Luna, videpresidente di Istoreto, scrive per “La Stampa”. Lo ringraziamo per averci concesso di ripubblicare questo articolo.

Questo sito web utilizza i cookie per le statistiche e per personalizzare la navigazione. Scopri come disattivare o cancellare i cookies di eventuali terze parti non installati direttamente sul sito Disabilito

Le impostazioni di questo sito web sono predisposte per "permettere ai cookie" di offrirvi la migliore esperienza di navigazione possibile. Se continuate nella navigazione senza modificare le vostre impostazioni dei cookie o cliccate sul pulsante "accetto" più in basso, allora acconsentite alla suddetta "cookie policy".
E' possibile disattivare o cancellare i cookies di eventuali terze parti non installati direttamente sul sito alla pagina Privacy e cookie policy

Chiudi

Con il contributo di