Il web come Radio Londra

di Giovanni De Luna

L’articolo è stato pubblicato su “La Stampa”  il 7 marzo 2022*

In tutte le guerre la prima vittima è sempre la verità. Sì, perché la guerra, oltre che un disastro umanitario, è anche uno “scandalo” che inaridisce le fonti della conoscenza e ci obbliga a una regressione infantile, spingendoci nel mondo delle “voci”, in una narrazione in cui il vero e il falso sono strettamente intrecciati. Tutte le guerre del ‘900  hanno prodotto modernità nella sfera dell’economia e stupidità in quella della cultura, provocando sempre un marcato impoverimento del dibattito culturale, livellandone verso il basso i contenuti con la semplificazione rozza dell’approccio a popoli e mondi diversi da noi, il trionfo dei luoghi comuni.  Si scrivono, in guerra, molte menzogne; ma i suoi effetti più diseducativi sono quelli legati a un lessico ambiguo e ammiccante, che non lascia trapelare mai una verità o una bugia completa. In questo contesto si inserisce un bisogno di comunicare spontaneo, dal basso, che si avvale di strumenti totalmente irrazionali, alimentando “voci” nelle quali non c’è solo una stupida credulità, ma c’è posto anche per le speranze e le paure alimentate dalla passività e dalla subalternità di quanti sono espropriati della possibilità di sapere, di conoscere razionalmente gli avvenimenti.

Così, nell’Italia della Seconda guerra mondiale, una falsa notizia (“E’ morto Hitler” o, al contrario, “E’ morto Churchill”, “Domani c’è una distribuzione di pane bianco”) si diffondeva per canali informali, aggirando le comunicazioni ufficiali, e segnalava la speranza, la paura, la fame, la dimensione tragica assunta da un’esistenza collettiva precipitata nell’incubo della guerra totale. Oggi lo sappiamo: la propaganda ufficiale di tutti i paesi belligeranti ha sempre uno scopo preciso, quello di rafforzare il consenso alla guerra attraverso la demonizzazione del nemico e l’enfasi sulle ragioni della propria guerra, la sola ad essere “giusta”.  A questo si è aggiunta in tempi più recenti una “competizione vittimaria” già vista all’opera in tutti i conflitti che hanno insanguinato il pianeta dopo la fine della guerra fredda: alla fine vince chi riesce a raccontarsi come più vittima degli altri e ad allargare emotivamente la rete della solidarietà e delle alleanze. 

E’ quello che ora sta capitando in Ucraina: il negoziatore ucraino era una spia o un martire? I 13 soldati dell’Isola dei serpenti erano eroi (“..fottetevi..!” il loro ultimo insulto agli invasori) o si sono arresi senza combattere ? La centrale atomica è stata difesa dai russi contro i sabotatori ucraini? Interrogativi di questo tipo rimbalzano in una cronaca segnata dagli eventi militari sul campo ma anche dalla furibonda lotta ingaggiata sul piano dell’informazione. La stampa straniera è in fuga dalla Russia, la RAI e altre emittenti televisive occidentali hanno sospeso i loro servizi, alla TV russa il conduttore televisivo Denis Polunchukov ha spiegato, con molto sussiego, come le immagini della guerra diffuse sui social network appartengano ad altri scenari bellici o sono tratte addirittura dai videogiochi. Tutti, su entrambi i fronti, annaspiamo in questo angosciante black out informativo alla ricerca della verità. Con una differenza sostanziale però: per una volta, vivere in democrazia ci consegna qualche risorsa in più rispetto a chi vive in un regime autocratico e, in questa guerra, le “voci” non sono l’ unico antidoto possibile alle tossine della disinformazione. C’è il web, ci sono milioni di immagini prodotte dal basso che non possono essere oscurate, ci sono conversazioni telefoniche e messaggi che tengono in vita una rete informale e attivissima. Ed è come se ci fosse un  numero altissimo di esperienze come “Radio Londra”: nel 1940, quando l’Italia entrò in guerra, era un’emittente dalla voce flebile e lontana; man mano che il regime di Mussolini si sgretolava, Radio Londra diventò sempre più importante e alla fine ebbe un ruolo decisivo  nel crollo del “fronte interno” italiano, spalancando  le porte alla disfatta dell’Asse. Il web è impossibile da controllare integralmente e con la sua pervasività può essere la Radio Londra di Putin.

*Lo storico Giovanni De Luna scrive per il quotidiano “La Stampa”. Lo ringraziamo per averci concesso di ripubblicare questo articolo.

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