Ottant’anni fa moriva in esilio a Torino, deportata dal regime di Mussolini, la principessa etiope Woizero Romaneworch. La figlia primogenita dell’imperatore Hailé Selassié era uno dei quasi 400 membri della vecchia aristocrazia etiope fatti prigionieri e deportati in Italia in seguito al fallito attentato al maresciallo Rodolfo Graziani del 19 febbraio 1937. Mentre il marito Merid Bayané, comandante di formazioni di resistenza anti-italiane, veniva catturato e fucilato, la principessa, con i quattro figli maschi, era trasferita nel campo di prigionia dell’Asinara, in Sardegna, dove perdeva il piccolo Gideon, di soli due anni. In seguito all’interessamento di monsignor Gaudenzio Barlassina, Superiore Generale delle Missioni della Consolata, che l’aveva conosciuta durante il suo missionariato in Etiopia, veniva reclusa, insieme ai figli, presso la Missione della Consolata a Torino. Qui la principessa moriva, all’età di soli 27 anni, il 14 ottobre 1940, stroncata dalla tubercolosi. Da allora le sue spoglie riposano presso il Cimitero Monumentale di Torino in un sotterraneo della sesta ampliazione. Accanto al loculo della principessa é tumulato pure il figlio primogenito Ligg Chetacceu Bayané, morto anch’egli di tubercolosi il 22 febbraio 1944.
Per ricordare questa vittima del fascismo è stato lanciato, in modo informale visto il contesto pandemico, da Luigi Bairo il primo “Romane Worch day”, che si è svolto mercoledì 14 ottobre 2020, data del suo decesso nel 1940. Il Polo del ‘900 e l’Istoreto aderiscono all’iniziativa, volta a ricordare sotto il profilo storico, culturale ed artistico una figura e una vicenda quasi del tutto sconosciute, ma di notevole interesse per la Città di Torino, esponendo un’opera d’arte contemporanea dell’artista Franco Brunetta, allievo del maestro Piero Simondo nonché studioso della Resistenza. Si tratta di una scultura appositamente dedicata al ricordo della sfortunata principessa etiope, alta una sessantina di centimetri, realizzata con legno africano (mogano e ayous), tondino di ferro e plastica riciclata e lavorata, che la raffigura nei tratti essenziali, dove spiccano la caratteristica capigliatura e la collana con i colori dell’Etiopia. La scultura, intitolata “LA PRINCIPESSA ETIOPE”, trae spunto da una rara foto giovanile della primogenita dell’imperatore d’Etiopia Hailé Selassié e la ripropone rielaborata in chiave moderna e simbolica. Così la principessa é raffigurata e “rivive” 80 anni dopo in una sorta di “resurrezione” dal mortale confino fascista e poi dall’ipocrita oblio cui la sua drammatica storia è stata relegata in tutti questi anni. L’apparente semplicità e “leggerezza” della struttura, ideata da Franco Brunetta per ricordare questa vittima del fascismo e renderle omaggio, diventa un’immagine forte e rappresentativa di una pagina tragica e vergognosa del nostro passato imperialista da far conoscere ai giovani e per ribadire la condanna del fascismo, del colonialismo e di tutti i totalitarismi.