Martedì 18 aprile alle ore 18  al  Circolo della Stampa  – Corso Stati Uniti, 27, Torino –  viene presentato  Il disegno neoimperiale della Russia di Putin e le sue guerre. Materiali per opporsi e costruire la pace,  curato da Luciano BoccalatteRiccardo Marchis e Paolo Borgna.

Intervengono con i curatori :
Alberto Perduca, già magistrato al tribunale penale internazionale dell’Aja per l’ ex Jugoslavia e all’ufficio europeo antifrode
Niccolo Pianciola, docente di storia dell’Europa Orientale, università di Padova
Alberto Racca, giurista, esperto di sistemi elettorali
Stefano Tallia, presidente Ordine Giornalisti Piemonte
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Anticipiamo qui la premessa  di Paolo Borgna

Or non è molto, eravamo la generazione più fortunata degli ultimi settant’anni. L’unica che non aveva mai conosciuto una guerra. E, per chi è nato negli anni del boom, l’unica ad essere cresciuta in una fase di continuo e costante sviluppo dei diritti, del benessere, dell’istruzione. Entrati nel mondo dopo che la Costituzione aveva proclamato, al suo articolo 11, mai più guerre. Abituati, quando si parlava di politica internazionale, ad un vocabolario i cui termini più ricorrenti erano distensione, pace, mediazione, disarmo, trattato, arbitrato. 

Di colpo, dal 24 febbraio 2022, quel vocabolario è cambiato ed ogni giorno sentiamo e pronunciamo parole come guerra, aggressione, tortura, bombardamenti, missili, avanzata, controffensiva, mobilitazione.

Le guerre non hanno mai abbandonato il mondo. Qualcuno le ha contate: prima del febbraio scorso i conflitti armati in corso erano non meno di sessanta. Ma mai, prima del 2022, l’idea di guerra aveva così tanto invaso le nostre vite. Perché questa guerra lo sta facendo? La risposta è semplice: perché, per la prima volta dal 1945, si percepisce che questo conflitto potrebbe generare una guerra mondiale. Perché per la prima volta sono a confronto (nei fatti ancorché non formalmente) due potenze nucleari: con un attore esplicito e l’altro che sta sullo sfondo. D’accordo: per quasi mezzo secolo c’è stata la guerra fredda. Ma in quegli anni la minaccia nucleare era implicita, fatta balenare ma mai esplicitamente minacciata. Secondo alcuni, proprio il rischio nucleare, dopo Hiroshima e Nagasaki, era la garanzia più solida dell’impossibilità di una guerra. Il “mai più guerre” che ci aveva accompagnato fin dall’infanzia, questo voleva dire: mai più guerre mondiali. A ben vedere, questo era il presupposto e il senso più profondo del nostro articolo 11. Non certo “no alla guerra di resistenza all’aggressore”. Non avrebbero potuto scriverlo coloro che, nei venti mesi del “roveto ardente”, erano stati organizzatori, propulsori, protagonisti della nostra Resistenza. Ma ripudio della guerra “come strumento di offesa agli altri popoli”, come “mezzo di risoluzione delle controversi internazionali”. 

Oggi, invece, il ricorso alla bomba atomica viene esplicitamente evocato, minacciato.  Oggi la sfida nucleare è concretamente possibile.
Siamo cresciuti nel culto della Resistenza. Di quella che don Lorenzo Milani, in uno dei testi più implacabili dell’antimilitarismo (L’obbedienza non è più una virtù), definiva l’unica guerra giusta: “l’unica che non fosse offesa alle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana”. 

Ma, avendo da ragazzi frequentato molti partigiani combattenti, sappiamo anche che tutti i grandi Resistenti maturarono, nella seconda metà del Novecento, una repulsione sempre più profonda verso la guerra e la violenza che, all’inizio di quel secolo, era invece parsa, a molti, inevitabile Levatrice della Storia. Quella lezione fa parte del nostro DNA. 
Riaffiora però, in questo tornante della storia europea, l’interrogativo da sempre posto ai pacifisti: come rispondere ai nemici che ci attaccano? Che bisogna fare dopo che una guerra è cominciata con l’aggressione altrui? Come agire ora, subito? E’ possibile rispondere senza violenza al massacro in atto, al coltello puntato alla gola? E’ la domanda che Ada Gobetti rivolgeva a se stessa e agli amici pacifisti: come si poteva stare senz’armi di fronte a Hitler?

Ridotte all’essenziale, tutte le discussioni che ci hanno agitato in questo 2022 sono riconducibili a queste domande. 

Abbiamo un’unica certezza: nessuno può contestare il diritto di un popolo invaso di rispondere all’aggressione anche con le armi. Lo dichiariamo anche come dovere morale di fedeltà ai partigiani che dopo l’8 settembre 1943 decisero di battersi.  

Ma sappiamo anche – ce lo hanno insegnato uomini come Nuto Revelli per cui la Resistenza fu il momento identitario più forte di tutta la vita – che dobbiamo essere prudentissimi a maneggiare il concetto di “guerra giusta”. Perché troppe volte la “guerra giusta” è stata invocata per giustificare, affrettatamente, aggressioni per nulla necessarie. E troppo spesso – ci ricordava Capitini – “guerra giusta” è diventata la parola d’ordine per correre a sirene spiegate verso il conflitto armato, senza che fossero esperiti tutti i tentativi razionali per salvare la pace.   
Sono queste le domande che, dal 24 febbraio, ci assalgono, ci agitano, ci sbattono da una sponda all’altra di una nave in tempesta, rompendo amicizie e consolidate comunanze intellettuali e politiche. 

Istoreto è non solo cultore della memoria della Resistenza ma anche dedicato alla “storia contemporanea”. Non può non interessarsi della guerra, di questa guerra: ora, proprio ora, mentre è ancora in corso. Per essere, come vollero i suoi fondatori 75 anni fa, “centro operante di studio”. Sempre ricordando il passato. Mai fermi al passato.
Per questo – grazie al sapiente e prezioso coordinamento di Luciano Boccalatte e di Riccardo Marchis – abbiamo chiamato vecchi e nuovi amici di Istoreto ad approfondire, ciascuno per la sua competenza, i temi che troverete in questo libro: affrontando le complessità che erano le braci ardenti che hanno generato e alimentato l’incendio. 
Non è per nulla una riflessione definitiva. E’, semmai, una partenza.

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Il libro è stato presentato la prima volta martedì 25 ottobre alle ore 17 – nella sala conferenze del Polo – Edoardo Greppi, professore di diritto internazionale e Marco Buttino, storico dell’Oriente europeo
hanno presentato  il volume Il disegno neoimperiale della Russia di Putin e le sue guerre. Materiali per opporsi e costruire la pace,  curato da Luciano BoccalatteRiccardo Marchis e Paolo Borgna.

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